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durata
non
inferiore
a
tre
anni
dalla
comparsa
dei
coniugi
davanti
al
presidente
del
tribunale,
seguita
da
una
seconda
fase
che
avvia
l'iter
per
il
divorzio.
Il
legislatore
aveva
individuato
un
sistema
molto
rigido,
perché
all'epoca
la
discussione
sulla
indissolubilità
del
matrimonio
aveva
comportato
un
controllo
ferreo
da
parte
dello
Stato
sulla
volontà
delle
parti;
nel
frattempo,
la
situazione
è
cambiata,
sono
cambiati
i
tempi,
i
matrimoni
e
le
famiglie.
Questa
complessa
procedura
comporta
due
sentenze,
due
giudizi,
due
difensori
da
pagare
e,
per
i
casi
in
cui
la
separazione
sia
consensuale,
una
media
di
almeno
cinque
anni
di
attesa;
considerato
che
in
genere
difficilmente
si
registra
il
consenso
da
parte
di
ambedue
gli
ex
coniugi,
per
la
sentenza
occorrono
almeno
dieci
o
dodici
anni.
Obiettivamente
la
legge
in
vigore
si
è
rivelata
non
più
adeguata
per
una
società
come
quella
italiana,
interessata
da
profonde
mutazioni
sociali
e
culturali,
pur
con
le
sue
contraddizioni,
moderna
e
in
continua
evoluzione
che
chiede
l'adozione
di
norme
che
favoriscano,
da
parte
del
magistrato,
decisioni
rapide
e
incisive
che
vanno
a
incidere
profondamente
nella
vita
delle
persone.
Bisogna
prendere
atto
della
nuova
realtà
(in
base
agli
ultimi
dati
del
rapporto
ISTAT
sulla
«instabilità
sentimentale»,
i
divorziati
sono
stati
oltre
53
mila
e
il
numero
dei
separati
ha
raggiunto
quota
89
mila)
e
porsi
questa
semplice
domanda:
i
tempi
lunghi
per
giungere
dalla
separazione
al
divorzio
servono
a
favorire
la
riconciliazione
e
a
ricomporre
il
conflitto ?
Su
circa
94
mila
separazioni
proposte
nel
2012,
solo
5500
si
sono
chiuse
con
una
riconciliazione:
questi
dati
ci
confermano
che
periodi
prolungati
non
aiutano
la
famiglia.
Nel
nostro
Paese
la
disciplina
del
divorzio
appare
disconnessa
e
lontana
dalle
esigenze
delle
coppie
che
decidono
di
non
voler
più
continuare
un
percorso
di
vita
insieme
e
vogliono
garantirsi
la
possibilità,
ove
lo
decidano,
di
ricostruire
nuovi
percorsi
affettivi:
è
compito
del
Parlamento
prenderne
coscienza
e
trovare
nuove
soluzioni
sul
piano
legislativo.
Oggi
in
Italia
occorre
troppo
tempo,
dall'inizio
della
separazione,
per
lo
scioglimento
del
matrimonio:
un
termine
estremamente
lungo
che
il
legislatore
decenni
fa
aveva
posto
proprio
come
deterrente
allo
scioglimento
del
vincolo
di
coppie
ormai
logorate,
ma
che
risulta
di
ostacolo
anche
alla
formalizzazione
delle
scelte
di
vita
che
nel
frattempo
sono
maturate,
oltre
ad
esasperare
il
conflitto
ed
accentuare
i
sentimenti
di
rivalsa.
In
Europa,
altri
Paesi
hanno
già
recentemente
affrontato
il
problema
con
l'obiettivo
di
facilitare
le
procedure
burocratiche,
incentivare
le
separazioni
consensuali
e
ridurre
i
litigi
in
tribunale,
garantendo
anche,
in
tal
modo,
il
benessere
dei
figli.
Come
già
avuto
modo
di
ricordare
in
quest'Aula,
il
contenimento
dei
tempi
per
l'ottenimento
dello
scioglimento
del
matrimonio
risulta
ancora
più
necessario
laddove
in
Italia,
come
in
pochi
altri
Stati
–
Irlanda
del
Nord,
Polonia
e
Malta
–
il
divorzio
è
preceduto
da
una
fase
obbligatoria
di
separazione;
si
tenga
infatti
presente
che
in
Finlandia,
in
Svezia
e
in
Austria
questo
passaggio
non
è
contemplato,
mentre,
in
Francia,
Germania
e
Spagna
(dove
è
stato
introdotto
nel
2005
il
«divorzio
espresso»,
attraverso
cui
è
possibile
uno
scioglimento
del
matrimonio
unilaterale
ed
immediato)
la
separazione
esiste
ma
non
costituisce
condizione
essenziale
per
chiedere
il
divorzio,
per
cui
è
sufficiente
la
separazione
di
fatto
per
un
determinato
periodo
di
tempo.
In
Svezia,
la
richiesta
di
scioglimento
del
matrimonio
è
automaticamente
e
immediatamente
accettata
se
a
presentarla
sono
entrambi
i
coniugi,
mentre
se
uno
dei
due
si
oppone
sono
necessari
al
massimo
sei
mesi.
Non
meno
importante
è
il
tema
dei
tempi
e
dei
costi
che
in
Italia
sono
assai
più
gravosi
di
quelli
contenuti
e
sostenuti
in
quasi
tutti
i
Paesi
europei,
tanto
che
da
qualche
anno
si
è
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