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ruolo
dello
Stato
nel
sostegno
alle
situazioni
di
criticità
che
la
coppia
e
le
famiglie
possono
attraversare
e
che
deve
sempre
essere
alla
nostra
attenzione
per
trovare
modalità
valide
ed
effettive.
Questo
impegno
non
è
diverso
da
quello
di
assicurare
un'adeguata
tutela
nel
momento
in
cui
la
crisi
è
avvenuta
ed
è
irrecuperabile.
La
scelta
di
oggi
è
in
tal
senso
rispettosa
dell'impianto
della
nostra
Costituzione
inerente
il
matrimonio
e
la
famiglia,
che,
infatti,
non
si
scardina
o
riduce
nella
sua
rilevanza.
Siamo
tutti
consapevoli
del
ruolo
che
il
nostro
ordinamento
assegna
al
matrimonio,
non
solo
come
atto
privato,
ma
anche
come
atto
di
rilievo
pubblico,
il
cui
valore
per
l'individuo
e
per
la
società
è
e
rimane
fondamentale.
La
possibilità
di
ridurre
i
tempi
minimi
per
lo
scioglimento
del
matrimonio
è
strettamente
connessa
ad
una
valutazione
in
merito
alla
necessità
di
rispondere
in
modo
adeguato
e
appropriato
ad
una
situazione
sociale
profondamente
mutata
e
a
criticità
serie
come
quelle
relative
allo
scioglimento
del
matrimonio.
Spesso
tutti
siamo
consapevoli
che
i
tempi
lunghi
per
arrivare
al
divorzio
incidono
negativamente
sulla
certezza
dei
rapporti,
aumentando
le
conflittualità.
Hanno
inoltre
un
impatto
sul
profilo
patrimoniale
e,
anche
in
questo
caso
e
più
in
generale,
di
certezza
dal
punto
di
vista
giuridico
ed
economico.
Un
secondo
elemento
appare
importante
sottolineare,
che
mette
in
luce
la
nostra
responsabilità
di
legislatore
attento.
Con
il
provvedimento
in
votazione
si
sceglie
un
modello
che
si
sostanzia
in
un
rimedio
giurisdizionale
e
non
concede
nulla
a
ipotesi
di
divorzio
lampo.
Richiede
cioè
che
vi
sia
condivisione
da
parte
dei
coniugi
circa
la
crisi
del
loro
matrimonio,
che
vi
sia
condivisione
dei
coniugi
sugli
accordi
e
sulle
condizioni
attraverso
i
quali
il
loro
matrimonio
può
essere
risolto,
che
quest'accordo
venga
formalizzato
in
un
ricorso,
che
il
ricorso
sia
sottoscritto,
che
il
ricorso
sia
depositato
in
tribunale,
che
il
tribunale
fissi
l'udienza
di
comparizione
dei
coniugi,
che
i
coniugi
compaiano
davanti
al
presidente
del
tribunale,
che
il
presidente
del
tribunale
li
interroghi
e
faccia
un
tentativo
di
conciliazione
e
che
il
divorzio
sia
pronunciato
con
una
sentenza.
Si
tratta,
quindi,
di
un
procedimento
giurisdizionale
con
tutte
le
garanzie
che
lo
contraddistinguono.
Ciò
consentirà
un
percorso
di
responsabilizzazione
dei
soggetti
coinvolti,
imporrà
un'adeguata
informazione
e
consapevolezza
a
favore
del
soggetto
debole
della
coppia
e
garantirà
i
figli.
In
sintesi,
permetterà
di
avere
accordi
rispettosi
di
tutte
le
parti.
Inoltre
il
periodo
precedente
servirà
ad
attenuare
la
conflittualità
e
a
decidere
responsabilmente.
I
dati
e
le
ricerche
svolte
in
questo
ambito
confermano
che
i
tempi
lunghi
non
proteggono
automaticamente
i
soggetti
deboli
o
l'istituzione
matrimoniale.
Anzi,
può
succedere
che
i
tempi
aumentino
il
rischio
di
rendere
più
traumatica
la
condizione
della
coppia
e
dei
figli,
considerando
anche
l'invasività
dell'iter
giudiziario,
sia
sotto
il
profilo
dei
costi
sia
per
l'impatto
sulla
dimensione
esistenziale.
I
sei
mesi
in
caso
di
consensuale
e
i
dodici
mesi
in
caso
di
giudiziale
possono
consentire
alle
persone
di
scegliere
se
e
come
cambiare
vita
e
di
aprirsi
a
un
nuovo
progetto
affettivo
stabile.
In
questo
modo
si
mette
al
centro
la
libertà
e
la
responsabilità
dei
coniugi.
Infine,
consentimi
di
dire
che
quanto
si
va
a
modificare
in
quest'impianto
già
esistente
è
molto
ridotto.
Il
legislatore
aveva
già
previsto
alcune
ipotesi
di
divorzio
diretto
in
casi
di
violenza,
di
trascrizione
della
sentenza
di
divorzio
ottenuto
all'estero,
di
matrimonio
non
consumato
o
a
seguito
di
rettificazione
del
sesso.
È
opportuno
inoltre
ricordare
che
misure
acceleratorie
in
materia
di
divorzio
e
di
separazioni
–
come
la
negoziazione
assistita
e
gli
accordi
di
separazione
e
divorzio
davanti
al
sindaco
–
sono
state
recentemente
introdotte
dalla
legge
del
10
novembre
2014.
Oggi
noi
stiamo
parlando
solo
di
favorire
la
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