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essere
dichiarato
irricevibile
per
mancato
esaurimento
delle
vie
di
ricorso
interne.
44.
I
ricorrenti
sostengono
che
il
sistema
italiano
non
offre
alcuna
via
di
ricorso
suscettibile
di
porre
rimedio
al
sovraffollamento
delle
carceri
italiane
e
di
portare
a
un
miglioramento
delle
condizioni
detentive.
45.
In
particolare,
essi
denunciano
la
non
effettività
del
procedimento
dinanzi
al
magistrato
di
sorveglianza.
Osservano
innanzitutto
che
il
ricorso
in
questione
non
costituisce
un
rimedio
giudiziario,
bensì
un
ricorso
di
tipo
amministrativo,
giacché
le
decisioni
del
magistrato
di
sorveglianza
non
sono
affatto
vincolanti
per
le
direzioni
degli
istituti
penitenziari.
Peraltro,
essi
sostengono
che
molti
detenuti
hanno
cercato
di
migliorare
le
loro
cattive
condizioni
carcerarie
attraverso
reclami
rivolti
al
magistrato
di
sorveglianza,
senza
tuttavia
ottenere
alcun
risultato.
Di
conseguenza,
essi
si
ritengono
dispensati
dall’obbligo
di
esaurire
tale
rimedio.
46.
Quanto
al
sig.
Ghisoni,
egli
sostiene
di
avere
esaurito
le
vie
di
ricorso
interne
presentando
al
magistrato
di
sorveglianza
di
Reggio
Emilia
un
reclamo
sulla
base
degli
articoli
35
e
69
della
legge
sull’ordinamento
penitenziario.
La
sua
esperienza
sarebbe
la
prova
della
non
effettività
della
via
di
ricorso
indicata
dal
Governo.
A
suo
dire,
l’ordinanza
emessa
dal
magistrato
di
sorveglianza
il
20
agosto
2010,
che
riconosceva
che
le
condizioni
detentive
nel
carcere
di
Piacenza
erano
inumane
e
ordinava
alle
autorità
amministrative
competenti
di
porre
in
essere
tutte
le
misure
necessarie
per
porvi
rimedio
con
urgenza,
è
rimasta
lettera
morta
per
diversi
mesi.
Egli
non
vede
quale
altro
passo
avrebbe
potuto
fare
per
ottenere
un’esecuzione
rapida
dell’ordinanza.
47.
La
Corte
rammenta
che
la
regola
dell’esaurimento
delle
vie
di
ricorso
interne
mira
a
offrire
agli
Stati
contraenti
l’occasione
per
prevenire
o
riparare
le
violazioni
denunciate
nei
loro
confronti
prima
che
tali
denunce
siano
portate
alla
sua
attenzione
(si
vedano,
tra
molte
altre,
Remli
c.
Francia,
23
aprile
1996,
§
33,
Recueil
1996-‐II,
e
Selmouni
c.
Francia
[GC],
n.
25803/94,
§
74,
CEDU
1999-‐V).
La
regola
si
fonda
sull’ipotesi,
oggetto
dell’articolo
13
della
Convenzione
-‐
e
con
il
quale
essa
presenta
strette
affinità
-‐,
che
l’ordinamento
interno
offra
un
ricorso
effettivo
quanto
alla
violazione
dedotta
(Kudła
c.
Polonia
[GC],
n.
30210/96,
§
152,
CEDU
2000-‐XI).
48.
Tuttavia,
l’obbligo
derivante
dall’articolo
35
si
limita
a
quello
di
fare
un
uso
normale
dei
ricorsi
verosimilmente
effettivi,
sufficienti
ed
accessibili
(tra
altre,
Vernillo
c.
Francia,
20
febbraio
1991,
§
27,
serie
A
n.
198).
In
particolare,
la
Convenzione
prescrive
l’esaurimento
dei
soli
ricorsi
che
siano
al
tempo
stesso
relativi
alle
violazioni
denunciate,
disponibili
e
adeguati.
Essi
devono
esistere
con
un
sufficiente
grado
di
certezza
non
solo
nella
teoria
ma
anche
nella
pratica,
altrimenti
mancano
dell’effettività
e
dell’accessibilità
volute
(Dalia
c.
Francia,
19
febbraio
1998,
§
38,
Recueil
1998-‐I).
Inoltre,
secondo
i
«principi
di
diritto
internazionale
generalmente
riconosciuti»,
alcune
circostanze
particolari
possono
dispensare
il
ricorrente
dall’obbligo
di
esaurire
le
vie
di
ricorso
interne
che
gli
si
offrono.
Allo
stesso
modo,
la
regola
non
si
applica
quando
sia
provata
l’esistenza
di
una
prassi
amministrativa
che
consiste
nella
ripetizione
di
atti
vietati
dalla
Convenzione
e
dalla
tolleranza
ufficiale
dello
Stato,
tale
da
rendere
vano
o
non
effettivo
qualsiasi
procedimento
(Aksoy
c.
Turchia,
sentenza
del
18
dicembre
1996,
Recueil
1996-‐VI,
§
52).
49.
Infine,
l’articolo
35
§
1
della
Convenzione
prevede
una
ripartizione
dell’onere
della
prova.
Per
quanto
riguarda
il
Governo,
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