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quando
eccepisce
il
mancato
esaurimento,
esso
deve
convincere
la
Corte
che
il
ricorso
era
effettivo
e
disponibile
sia
in
teoria
che
in
pratica
all’epoca
dei
fatti,
vale
a
dire
che
era
accessibile,
era
in
grado
di
offrire
al
ricorrente
la
riparazione
delle
doglianze
e
presentava
ragionevoli
prospettive
di
successo
(Akdivar
e
altri
c.
Turchia,
16
settembre
1996,
§
68,
Recueil
1996
IV;
e
Sejdovic
c.
Italia
[GC],
n.
56581/00,
§
46,
CEDU
2006-‐II).
51.
Nel
caso
di
specie,
la
Corte
deve
stabilire
se
il
reclamo
davanti
al
magistrato
di
sorveglianza
italiano
costituisca
una
via
di
ricorso
rispondente
ai
criteri
da
essa
stabiliti
nella
sua
giurisprudenza.
Innanzitutto,
essa
rileva
che
le
parti
non
concordano
sulla
natura
del
rimedio
in
questione:
il
Governo
afferma
la
natura
pienamente
giurisdizionale
del
procedimento
davanti
al
magistrato
di
sorveglianza,
mentre
i
ricorrenti
ritengono
che,
vista
la
sua
natura
meramente
amministrativa,
non
si
tratti
di
un
rimedio
da
esaurire.
Ora,
secondo
la
Corte,
la
questione
non
è
determinante
avendo
essa
già
rilevato
che,
in
alcune
circostanze,
le
vie
di
ricorso
di
natura
amministrativa
possono
rivelarsi
efficaci
–
e
costituire
quindi
rimedi
da
esaurire
–
in
caso
di
doglianze
riguardanti
l’applicazione
della
normativa
relativa
al
regime
carcerario
(Norbert
Sikorski
c.
Polonia,
sopra
citata,
§
111).
52.
Ciò
premesso,
rimane
da
risolvere
la
questione
dell’effettività,
nella
pratica,
della
via
di
ricorso
indicata
nel
caso
di
specie
dal
governo
convenuto.
Al
riguardo,
la
Corte
constata
che,
nonostante
quest’ultimo
affermi
che
le
decisioni
emesse
dai
magistrati
di
sorveglianza
nell’ambito
del
procedimento
previsto
dalla
legge
sull’ordinamento
penitenziario
sono
vincolanti
per
le
autorità
amministrative
competenti,
l’ordinanza
del
magistrato
di
sorveglianza
di
Reggio
Emilia
del
20
agosto
2010,
favorevole
al
sig.
Ghisoni
e
ai
suoi
co-‐detenuti
e
che
comportava
l’adozione
d’urgenza
di
misure
adeguate,
è
rimasta
a
lungo
non
eseguita.
Dal
fascicolo
emerge
che
il
ricorrente
fu
trasferito
in
una
cella
per
due
persone,
quindi
con
uno
spazio
a
sua
disposizione
compatibile
con
le
norme
europee,
solo
nel
febbraio
2011.
Al
riguardo,
il
Governo
si
è
limitato
a
sostenere
che
gli
interessati
avrebbero
dovuto
chiedere
la
pronta
esecuzione
di
detta
ordinanza
alle
«autorità
giudiziarie
interne»,
senza
peraltro
precisare
quali.
50.
In
particolare,
la
Corte
ha
già
avuto
modo
di
indicare
che,
nella
valutazione
dell’effettività
dei
rimedi
riguardanti
denunce
di
cattive
condizioni
detentive,
la
questione
fondamentale
è
stabilire
se
la
persona
interessata
possa
ottenere
dai
giudici
interni
una
riparazione
diretta
ed
appropriata,
e
non
semplicemente
una
tutela
indiretta
dei
diritti
sanciti
dall’articolo
3
della
Convenzione
(si
veda,
tra
l’altro,
Mandić
e
Jović
c.
Slovenia,
nn.
5774/10
e
5985/10,
§
107,
20
ottobre
2011).
Così,
un’azione
esclusivamente
risarcitoria
non
può
essere
considerata
sufficiente
per
quanto
riguarda
le
denunce
di
condizioni
d’internamento
o
di
detenzione
asseritamente
contrarie
all’articolo
3,
dal
momento
che
non
ha
un
effetto
«preventivo»
nel
senso
che
non
può
impedire
il
protrarsi
della
violazione
dedotta
o
consentire
ai
detenuti
di
ottenere
un
miglioramento
delle
loro
condizioni
materiali
di
detenzione
(Cenbauer
c.
Croazia
(dec.),
n.
73786/01,
5
febbraio
2004;
Norbert
Sikorski
c.
Polonia,
n.
17599/05,
§
116,
22
ottobre
2009;
Mandić
e
Jović
c.
Slovenia,
sopra
citata
§
116;
Parascineti
c.
Romania,
n.
32060/05,
§
38,
13
marzo
2012).
In
questo
senso,
perché
un
sistema
di
tutela
dei
diritti
dei
detenuti
sanciti
dall’articolo
3
della
Convenzione
sia
effettivo,
i
rimedi
preventivi
e
compensativi
devono
coesistere
in
modo
complementare
(Ananyev
e
altri
c.
Russia,
nn.
42525/07
e
60800/08,
§
98,
10
gennaio
2012).
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