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gravità
(la
sola
sostituzione,
nel
caso
dell’ordinanza
r.o.
n.
311
del
2009)
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere,
cui
l’indagato
si
trova
sottoposto.
Ad
avviso
del
rimettente,
mentre
l’istanza
di
revoca
non
sarebbe
accoglibile,
stante
la
persistenza
delle
esigenze
cautelari,
queste
ultime
potrebbero
essere
fronteggiate
con
una
misura
meno
gravosa
di
quella
in
atto
e,
in
particolare
–
nel
caso
dell’ordinanza
r.o.
n.
311
del
2009
–
con
la
misura
degli
arresti
domiciliari.
All’accoglimento
delle
istanze
di
sostituzione
osterebbe,
nondimeno,
il
vigente
testo
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
che,
a
seguito
della
modifica
operata
dall’art.
2
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
n.
38
del
2009,
non
consente
di
applicare
una
misura
diversa
dalla
custodia
cautelare
in
carcere
alla
persona
nei
cui
confronti
sono
riconoscibili
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
un’ampia
serie
di
reati,
tra
cui
quelli
previsti
dagli
artt.
609-‐ bis
e
609-‐quater
cod.
pen.,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari.
In
accoglimento
delle
eccezioni
dei
difensori,
il
rimettente
ritiene,
peraltro,
di
dover
sollevare
questione
di
legittimità
costituzionale
della
citata
disposizione.
Al
riguardo,
il
giudice
a
quo
rileva
come
molti
dei
delitti
richiamati
nel
comma
3
dell’art.
275
cod.
proc.
pen.,
pur
nella
loro
indubbia
gravità,
siano
comunque
meno
gravi
di
altri
reati
non
richiamati,
sulla
base
del
raffronto
delle
relative
pene
edittali
(così,
ad
esempio,
i
delitti
di
cui
agli
artt.
416
e
416-‐bis
cod.
pen.,
inclusi
nell’elenco,
sono
puniti
meno
severamente
della
cessione
di
sostanze
stupefacenti
o
della
rapina
aggravata,
viceversa
esclusi).
Risulterebbe,
dunque,
evidente
come
la
scelta
legislativa
di
imporre,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
la
misura
«estrema»
della
custodia
in
carcere
non
dipenda
da
una
valutazione
«quantitativa»
della
gravità
dei
delitti,
ma
da
una
valutazione
di
tipo
essenzialmente
«qualitativo».
Anteriormente
alla
novella
del
2009,
la
norma
impugnata
sanciva
la
presunzione
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere
esclusivamente
in
rapporto
al
delitto
di
associazione
di
tipo
mafioso
e
ai
delitti
posti
in
essere
con
metodi
o
per
finalità
mafiose.
Per
tale
verso,
la
disposizione
rispondeva
–
secondo
il
giudice
a
quo
–
alla
ratio
di
sollevare
il
giudice
penale
dall’onere
di
motivare
la
scelta
della
misura
carceraria
in
particolari
situazioni
di
pressione
ambientale,
determinate
dalla
presenza
dell’associazione
di
stampo
mafioso,
e
soprattutto
per
questa
ragione
aveva
superato
il
vaglio
della
Corte
costituzionale,
sotto
il
profilo
del
rispetto
dei
principi
di
ragionevolezza
e
di
uguaglianza,
stante
il
coefficiente
di
pericolosità
per
le
condizioni
di
base
della
convivenza
e
della
sicurezza
collettiva
connaturato
agli
illeciti
di
quel
genere
(ordinanza
n.
450
del
1995).
La
medesima
ratio
sarebbe
ravvisabile
anche
in
rapporto
ad
altre
fattispecie
criminose
attualmente
richiamate
dall’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
quali,
segnatamente,
i
delitti
di
tipo
associativo
di
cui
all’art.
416,
sesto
comma,
cod.
pen.
e
all’art.
74
del
d.P.R.
9
ottobre
1990,
n.
309
(Testo
unico
delle
leggi
in
materia
di
disciplina
degli
stupefacenti
e
sostanze
psicotrope,
prevenzione,
cura
e
riabilitazione
dei
relativi
stati
di
tossicodipendenza);
non,
invece,
in
relazione
ai
reati
sessuali
cui
il
legislatore
del
2009
ha
esteso
la
presunzione,
trattandosi
di
delitti
che,
pur
nella
loro
«gravità
e
odiosità»,
presentano
«una
meno
spiccata
caratterizzazione
pubblicistica»,
essendo
offensivi
di
un
bene
giuridico
prettamente
individuale
(la
libertà
sessuale).
Sotto
tale
profilo,
la
norma
novellata
si
porrebbe
dunque
in
contrasto
con
l’art.
3
Cost.,
avendo
introdotto,
con
riferimento
ai
reati
in
questione,
un
trattamento,
da
un
lato,
ingiustificatamente
identico
a
quello
previsto
per
i
delitti
già
in
precedenza
elencati
dallo
stesso
art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
e,
dall’altro,
ingiustificatamente
più
severo
di
quello
stabilito
per
altri
reati.
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