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dei
diritti
dell’uomo
e
delle
libertà
fondamentali,
firmata
a
Roma
il
4
novembre
1950,
ratificata
e
resa
esecutiva
con
la
legge
4
agosto
1955,
n.
848:
disposizione
la
cui
inosservanza
porrebbe
la
norma
interna
in
contrasto
con
l’art.
117,
primo
comma,
Cost.,
che
impone
al
legislatore
ordinario
di
rispettare
i
vincoli
derivanti
dagli
«obblighi
internazionali».
In
applicazione
dei
ricordati
principi
di
proporzionalità,
adeguatezza
e
graduazione,
nel
sistema
del
codice
di
procedura
penale,
una
volta
accertata
l’esistenza
di
gravi
indizi
di
colpevolezza
e
la
sussistenza
di
esigenze
cautelari,
il
giudice
è
chiamato
ad
operare
–
motivandola
–
la
scelta
della
misura.
Nell’ipotesi,
poi,
in
cui
venga
applicata
la
misura
«massima»
della
custodia
in
carcere,
egli
è
tenuto
ad
esporre,
a
pena
di
nullità,
le
«concrete
e
specifiche
ragioni
per
le
quali
le
esigenze
di
cui
all’art.
274
non
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure»
(art.
292,
comma
2,
lettera
c-‐bis,
cod.
proc.
pen.).
La
norma
impugnata
derogherebbe
chiaramente
a
tali
principi,
che
pure
trovano
riconoscimento
negli
artt.
13
e
27
Cost.,
discendendo
–
secondo
quanto
affermato
dalla
Corte
costituzionale
nella
sentenza
n.
299
del
2005
–
«direttamente
dalla
natura
servente
che
la
Costituzione
assegna
alla
carcerazione
preventiva
rispetto
alle
finalità
del
processo,
da
un
lato,
ed
alle
esigenze
di
tutela
della
collettività,
dall’altro,
tali
da
giustificare,
nel
bilanciamento
tra
interessi,
il
temporaneo
sacrificio
della
libertà
personale
di
chi
non
è
stato
ancora
giudicato
colpevole
in
via
definitiva».
Nella
giurisprudenza
costituzionale
risulterebbe,
in
effetti,
costante
l’affermazione
per
cui,
in
ossequio
al
favor
libertatis
che
ispira
l’art.
13
Cost.,
deve
essere
comunque
scelta
la
soluzione
che
comporta
il
minore
sacrificio
della
libertà
personale:
principio
del
quale
proporzionalità
e
adeguatezza
rappresentano
un
corollario.
È
ben
vero
che,
secondo
un
orientamento
altrettanto
costante
della
giurisprudenza
costituzionale,
«mentre
la
sussistenza
in
concreto
di
una
o
più
delle
esigenze
cautelari
prefigurate
dalla
legge
(l’an
della
cautela)
comporta,
per
definizione,
l’accertamento,
di
volta
in
volta,
della
loro
effettiva
ricorrenza,
non
può
invece
ritenersi
soluzione
costituzionalmente
obbligata
quella
di
affidare
sempre
e
comunque
al
giudice
l’apprezzamento
del
tipo
di
misura
in
concreto
ritenuta
come
necessaria
(il
quomodo
della
tutela),
ben
potendo
tale
scelta
essere
effettuata
in
termini
generali
dal
legislatore».
La
scelta
legislativa
dovrebbe
essere,
tuttavia,
operata
pur
sempre
nel
«rispetto
del
limite
della
ragionevolezza
e
del
corretto
bilanciamento
dei
valori
costituzionali
coinvolti».
Nell’ipotesi
in
esame,
per
converso,
risulterebbe
leso
proprio
il
canone
della
ragionevolezza,
sotto
il
duplice
profilo
della
disparità
di
trattamento
rispetto
agli
altri
casi
di
sussistenza
di
gravi
indizi
di
colpevolezza
e
di
esigenze
cautelari,
e
della
disparità
di
trattamento
«interna»
tra
le
varie
forme
di
manifestazione
concreta
delle
fattispecie
criminose
considerate.
Le
ipotesi
nelle
quali
la
Corte
costituzionale
ha
ritenuto
non
irragionevole
l’imposizione
da
parte
del
legislatore
della
misura
cautelare
più
rigorosa
presenterebbero,
infatti,
particolarità
atte
a
rendere
chiara
e
ben
delimitata
la
ragione
della
prevalenza
sui
principi
di
graduazione
e
di
adeguatezza.
Tali,
in
specie,
i
casi
della
pregressa
evasione,
che
impedisce
l’applicazione
della
misura
degli
arresti
domiciliari
(artt.
276,
comma
1-‐ter,
e
284,
comma
5-‐bis,
cod.
proc.
pen.,
vagliati,
rispettivamente,
dalle
ordinanze
n.
40
del
2002
e
n.
130
del
2003),
o
dell’essere
il
soggetto
gravemente
indiziato
di
un
reato
aggravato
dalle
finalità
di
associazioni
di
tipo
mafioso
(ordinanza
n.
450
del
1995).
Altrettanto
non
potrebbe
dirsi,
invece,
per
le
fattispecie
in
esame.
Risulterebbero
difatti
evidenti
le
differenze
che
intercorrono,
ad
esempio,
tra
i
reati
sessuali
in
discorso
e
quello
di
cui
all’art.
416-‐bis
cod.
pen.
L’appartenenza
ad
una
associazione
mafiosa
è
un
delitto
di
pericolo
a
carattere
permanente,
che
implica
un
vincolo
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