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«totalizzante»
di
adesione
ad
un
sodalizio
caratterizzato
da
una
particolare
forza
intimidatrice
e
da
un
elevato
grado
di
«diffusività»
nel
contesto
ambientale,
tali
da
porre
a
rischio,
per
comune
sentire,
primari
beni
individuali
e
collettivi.
Sarebbe,
di
conseguenza,
pienamente
giustificabile
la
presunzione
legislativa
di
adeguatezza
della
sola
misura
cautelare
carceraria,
la
quale
risulterebbe
indispensabile
per
neutralizzare
la
pericolosità
del
soggetto,
determinandone
il
forzoso
distacco
dal
sodalizio.
I
delitti
sessuali
che
vengono
in
rilievo
costituiscono,
di
contro,
reati
di
evento,
a
carattere
non
necessariamente
permanente,
che
abbracciano
un’ampia
gamma
di
condotte,
tra
loro
estremamente
diversificate,
in
quanto
frutto
di
vari
contesti
ambientali
e
relazioni
interpersonali,
talora
meramente
contingenti.
In
questa
prospettiva,
se
rientra
nella
discrezionalità
del
legislatore
la
scelta
di
inasprire
la
repressione
di
fatti
avvertiti
come
particolarmente
riprovevoli,
quali
quelli
che
aggrediscono
la
libertà
sessuale,
risulterebbe,
di
contro,
censurabile
l’indissolubile
collegamento
a
tali
fatti
di
una
presunzione
di
pericolosità
dell’autore.
Non
consentendo
di
tener
conto
delle
possibili
varianti,
la
norma
impugnata
determinerebbe,
dunque,
la
totale
equiparazione
nel
trattamento
cautelare
di
situazioni
diverse
sul
piano
oggettivo
e
soggettivo.
Essa
genererebbe,
in
pari
tempo,
rischi
di
confusione
fra
trattamento
cautelare,
improntato
al
principio
del
sacrificio
minimo
della
libertà
personale,
e
trattamento
punitivo,
avente
connotazioni
più
propriamente
retributive,
con
possibile
attribuzione
alla
cautela
di
una
funzione
di
anticipazione
della
pena,
in
contrasto
con
l’art.
27
Cost.
Né
varrebbe
far
leva,
in
senso
contrario,
sulla
prevista
esclusione
della
presunzione
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere
nelle
ipotesi
attenuate
contemplate
dalle
stesse
norme
incriminatrici
dei
reati
sessuali,
trattandosi
di
ipotesi
«comunque
estremamente
circoscritte,
secondo
l’interpretazione
ormai
consolidata
di
esse».
3.
–
Il
novellato
art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
è
sottoposto
a
scrutinio
di
legittimità
costituzionale,
in
riferimento
agli
artt.
3
e
13
Cost.,
anche
dal
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Venezia
con
ordinanza
depositata
il
4
novembre
2009
(r.o.
n.
66
del
2010),
nella
parte
in
cui
non
consente
la
sostituzione
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere
con
gli
arresti
domiciliari
in
relazione
al
delitto
previsto
dall’art.
609-‐quater,
primo
comma,
numero
1),
cod.
pen.
Il
giudice
a
quo
premette
di
essere
investito
dell’istanza
di
revoca
o
di
sostituzione
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere,
applicata
ad
una
persona
indagata
per
il
delitto
continuato
di
cui
all’articolo
ora
citato,
avendo
indotto
ad
atti
sessuali
un
minore
di
atti
quattordici;
fatto
commesso
nei
giorni
10
e
11
dicembre
2008.
Ad
avviso
del
rimettente,
non
sussisterebbero
le
condizioni
per
la
revoca
della
misura,
permanendo
le
esigenze
cautelari
di
cui
all’art.
274,
comma
1,
lettera
c),
cod.
proc.
pen.,
che,
tuttavia
–
tenuto
conto
dell’«evoluzione
migliorativa»
del
quadro
sulla
cui
base
era
stata
disposta
la
custodia
in
carcere
–
potrebbero
essere
adeguatamente
soddisfatte
con
la
misura
meno
afflittiva
degli
arresti
domiciliari.
Anche
in
questo
caso,
l’accoglimento
dell’istanza
di
sostituzione
risulterebbe,
peraltro,
impedito
dal
nuovo
testo
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
che,
per
la
sua
natura
processuale,
dovrebbe
ritenersi
applicabile,
in
forza
del
principio
tempus
regit
actum,
anche
in
relazione
ai
fatti
commessi
anteriormente
alla
sua
entrata
in
vigore.
La
nuova
disciplina
si
porrebbe,
tuttavia,
in
contrasto
con
gli
artt.
3
e
13
Cost.
Essa
metterebbe,
difatti,
in
«crisi»
i
principi
di
adeguatezza
e
graduazione
che,
in
via
generale,
regolano
l’esercizio
del
potere
cautelare,
rovesciando
la
logica
del
«minore
sacrificio
necessario»
sottostante
alla
formulazione
originaria
dell’art.
275,
comma
135