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del
1995,
invocata
dagli
stessi
giudici
rimettenti,
abbia
precisato
che
mentre
non
può
prescindersi
da
un
accertamento,
in
concreto,
dell’effettiva
sussistenza
delle
esigenze
cautelari
prefigurate
dalla
legge,
al
contrario,
la
scelta
del
tipo
di
misura
cautelare
non
impone
di
riservare
al
giudice
analogo
potere
di
apprezzamento,
«ben
potendo
essere
effettuata
in
termini
generali
dal
legislatore,
nel
rispetto
della
ragionevolezza
della
scelta
e
del
corretto
bilanciamento
dei
valori
costituzionali
coinvolti».
Nella
specie,
la
scelta
legislativa
di
imporre,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
la
custodia
in
carcere
non
potrebbe
essere
ritenuta
irragionevole
solo
perché
i
reati
sessuali
presenterebbero
una
meno
spiccata
caratterizzazione
pubblicistica
rispetto
ai
delitti
associativi
di
stampo
mafioso,
trattandosi
di
reati
che
comunque
offendono
il
bene
fondamentale,
di
rilevanza
costituzionale,
della
libertà
personale.
Le
fattispecie
criminose
in
questione
costituiscono,
inoltre,
reati
di
evento,
dei
quali
non
potrebbe
essere
apoditticamente
sostenuta
la
minore
gravità
rispetto
ai
delitti
associativi,
che
sono
pur
sempre
dei
reati
di
pericolo.
La
norma
denunciata
non
violerebbe
neppure
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
essendo
stato
rispettato
il
principio
della
riserva
di
legge
in
materia
di
provvedimenti
restrittivi
della
libertà
personale;
né
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
stante
l’estraneità
della
presunzione
di
non
colpevolezza
all’assetto
e
alla
conformazione
delle
misure
restrittive
della
libertà
personale
che
operano
sul
piano
cautelare,
del
tutto
distinto
rispetto
a
quello
concernente
la
condanna
e
l’irrogazione
della
pena,
così
come
puntualizzato
dalla
citata
ordinanza
n.
450
del
1995.
Insussistente
sarebbe,
infine,
la
violazione
dell’art.
117,
primo
comma,
Cost.
denunciata
dal
Tribunale
di
Torino,
tenuto
conto
del
fatto
che,
pure
in
presenza
di
disposizioni
della
Convenzione
per
la
salvaguardia
dei
diritti
dell’uomo
volte
a
salvaguardare
i
diritti
dei
detenuti,
la
Corte
di
Strasburgo
non
si
è
mai
espressa
nel
senso
dell’incompatibilità
con
tali
disposizioni
di
una
norma
nazionale
quale
quella
denunciata.
5.
–
Nel
giudizio
relativo
all’ordinanza
r.o.
n.
310
del
2009
si
è
costituito
C.
A.,
persona
sottoposta
alle
indagini
nel
procedimento
a
quo,
chiedendo
che
la
norma
impugnata
sia
dichiarata
costituzionalmente
illegittima,
nella
parte
in
cui
include
i
reati
«a
sfondo
sessuale»
tra
quelli
per
i
quali
è
obbligatoriamente
prevista
la
custodia
in
carcere
in
presenza
di
gravi
indizi
di
colpevolezza
e
di
esigenze
cautelari.
Il
difensore
della
parte
privata
rileva
come,
tramite
l’estensione
ai
reati
sessuali
della
disciplina
anteriormente
prevista
per
i
soli
delitti
di
associazione
mafiosa
o
a
questa
collegati,
il
legislatore
del
2009
abbia
inteso
rispondere,
con
un
«segnale
forte»,
ad
un
«diffuso
quanto
generico
“bisogno
di
giustizia”»,
suscitato
da
vicende
concrete
che
hanno
avuto
ampia
risonanza
nei
mass
media.
Il
legislatore
non
avrebbe,
tuttavia,
tenuto
conto
del
diverso
spirito
della
norma
originaria,
dando
vita
ad
una
disciplina
di
più
che
dubbia
compatibilità
costituzionale,
secondo
quanto
rilevato
dal
Consiglio
superiore
della
magistratura
già
in
sede
di
espressione
del
parere
sul
decreto-‐legge
n.
11
del
2009.
In
rapporto
ai
reati
sessuali
non
sarebbe,
infatti,
ravvisabile
la
ragione
giustificativa
che
ha
indotto
la
Corte
costituzionale
a
disattendere
le
censure
mosse,
sul
piano
del
rispetto
dei
principi
di
eguaglianza
e
di
ragionevolezza,
alla
presunzione
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere
sancita
in
rapporto
i
delitti
di
criminalità
organizzata
di
tipo
mafioso.
Sarebbe,
in
effetti,
evidente
la
disparità
di
trattamento
fra
colui
che
si
trova
indagato
per
un
reato
a
sfondo
sessuale,
il
quale,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
viene
obbligatoriamente
sottoposto
a
custodia
carceraria,
senza
possibilità
di
attenuazione
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