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(violenza
sessuale
e
atti
sessuali
con
minorenne),
le
quali
potrebbero
risultare,
in
concreto,
marcatamente
differenziate
tra
loro
sul
piano
oggettivo
e
soggettivo.
I
giudici
a
quibus
denunciano
altresì,
concordemente,
la
violazione
dell’art.
13
Cost.,
rilevando
come
la
norma
impugnata
venga
ad
imporre
un
sacrificio
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
superiore
a
quello
minimo
che,
nelle
circostanze
concrete,
può
risultare
necessario
e
sufficiente
al
fine
di
soddisfare
le
esigenze
cautelari.
Risulterebbe
leso,
ancora
–
secondo
il
Giudice
bellunese
e
il
Tribunale
di
Torino
–
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
in
quanto
la
previsione
normativa
sottoposta
a
scrutinio
finirebbe
per
attribuire
al
trattamento
cautelare
una
funzione
di
anticipazione
della
pena,
contrastante
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza.
Il
solo
Tribunale
di
Torino
prospetta,
infine,
la
violazione
dell’art.
117,
primo
comma,
Cost.,
per
asserito
contrasto
della
norma
censurata
con
l’art.
5,
paragrafi
1,
lettera
c),
e
4,
della
Convenzione
per
la
salvaguardia
dei
diritti
dell’uomo
e
delle
libertà
fondamentali.
2.
–
Le
ordinanze
di
rimessione
sollevano
questioni
analoghe,
relative
alla
medesima
norma,
sicché
i
giudizi
vanno
riuniti
per
essere
definiti
con
unica
decisione.
3.
–
In
via
preliminare,
va
osservato
che
si
presenta
del
tutto
plausibile
la
soluzione
interpretativa
sulla
cui
base
anche
il
Tribunale
di
Torino
e
il
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Venezia
affermano
la
rilevanza
delle
questioni
nei
procedimenti
a
quibus,
benché
questi
abbiano
ad
oggetto
imputazioni
di
fatti
commessi
prima
della
vigenza
della
norma
censurata.
La
giurisprudenza
di
legittimità
risulta,
infatti,
concorde
nel
ritenere
che
il
nuovo
testo
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
introdotto
dalla
novella
del
2009,
sia
destinato
a
trovare
applicazione
–
in
forza
del
principio
tempus
regit
actum,
che
disciplina
la
successione
delle
norme
processuali
–
anche
nei
procedimenti
in
corso,
relativi
appunto
a
fatti
commessi
anteriormente
alla
data
di
entrata
in
vigore
della
novella
suddetta:
ciò,
quantomeno
allorché
si
discuta,
come
nei
casi
di
specie,
di
istanze
di
sostituzione
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere,
precedentemente
applicata,
con
altra
misura
meno
gravosa
(oscillazioni
giurisprudenziali
si
riscontrano
solo
in
rapporto
all’ipotesi
inversa).
4.
–
Nel
merito,
la
questione
è
fondata
in
riferimento
agli
artt.
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.,
nei
limiti
di
seguito
specificati.
5.
–
La
disposizione
oggetto
di
scrutinio
trova
collocazione
nell’ambito
della
disciplina
codicistica
delle
misure
cautelari
personali,
in
particolare
di
quelle
coercitive
(artt.
272-‐286-‐bis),
tutte
consistenti
nella
privazione
–
in
varie
qualità,
modalità
e
tempi
–
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
durante
il
procedimento
e
prima
comunque
del
giudizio
definitivo
sulla
sua
responsabilità.
In
ragione
di
questi
caratteri,
i
limiti
di
legittimità
costituzionale
di
dette
misure,
a
fronte
del
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.),
sono
espressi
–
oltre
che
dalla
riserva
di
legge,
che
esige
la
tipizzazione
dei
casi
e
dei
modi,
nonché
dei
tempi
di
limitazione
di
tale
libertà,
e
dalla
riserva
di
giurisdizione,
che
esige
sempre
un
atto
motivato
del
giudice
(art.
13,
secondo
e
quinto
comma,
Cost.)
–
anche
e
soprattutto,
per
quanto
qui
rileva,
dalla
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
in
forza
della
quale
l’imputato
non
è
considerato
colpevole
sino
alla
condanna
definitiva.
L’antinomia
tra
tale
presunzione
e
l’espressa
previsione,
da
parte
della
stessa
Carta
costituzionale,
di
una
detenzione
ante
iudicium
(art.
13,
quinto
comma)
è,
in
effetti,
solo
apparente:
giacché
è
proprio
la
prima
a
segnare,
in
negativo,
i
confini
di
ammissibilità
della
seconda.
Affinché
le
restrizioni
della
libertà
personale
dell’indagato
o
imputato
nel
corso
del
procedimento
siano
compatibili
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