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misura
può
bene
essere
operata
in
via
generale
dal
legislatore,
nei
limiti
della
ragionevolezza
e
del
corretto
bilanciamento
dei
beni
coinvolti.
La
particolare
gravità
del
delitto
di
associazione
finalizzata
al
traffico
illecito
di
sostanze
stupefacenti
o
psicotrope,
la
pericolosità
sociale
degli
associati
e
la
grave
minaccia
per
la
collettività
che
può
derivare
dalla
reiterazione
della
condotta
accomunerebbero,
d’altro
canto,
il
delitto
in
questione
a
quelli
di
tipo
mafioso,
rispetto
ai
quali
la
Corte,
con
la
medesima
ordinanza,
ha
ritenuto
ragionevole
l’imposizione
della
misura
carceraria.
La
norma
censurata
non
lederebbe
neppure
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
essendo
stato
rispettato
il
principio
della
riserva
di
legge
in
materia
di
provvedimenti
restrittivi
della
libertà
personale;
né,
da
ultimo,
si
comprenderebbe
come
detta
norma
possa
essere
ritenuta
incompatibile
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
dell’imputato,
enunciata
dall’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
trattandosi
di
disposizione
che,
disciplinando
in
modo
non
irragionevole
l’adozione
delle
misure
cautelari,
opera
su
un
piano
diverso
da
quello
dell’irrogazione
della
sanzione
penale.
Considerato
in
diritto
1.
–
Il
Giudice
dell’udienza
preliminare
del
Tribunale
di
Torino
dubita
della
legittimità
costituzionale
dell’art.
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’art.
2
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
non
consente
di
applicare
misure
cautelari
diverse
e
meno
afflittive
della
custodia
in
carcere
alla
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
associazione
finalizzata
al
traffico
illecito
di
sostanze
stupefacenti
o
psicotrope,
previsto
dall’art.
74
del
d.P.R.
9
ottobre
1990,
n.
309
(Testo
unico
delle
leggi
in
materia
di
disciplina
degli
stupefacenti
e
sostanze
psicotrope,
prevenzione,
cura
e
riabilitazione
dei
relativi
stati
di
tossicodipendenza).
Il
rimettente
reputa
estensibili
ai
procedimenti
relativi
a
detto
reato
le
ragioni
che
hanno
indotto
questa
Corte,
con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata
in
riferimento
a
taluni
delitti
a
sfondo
sessuale
(artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐quater
del
codice
penale).
Al
pari
di
tali
delitti,
neppure
quello
previsto
dall’art.
74
d.P.R.
n.
309
del
1990
potrebbe
essere,
infatti,
assimilato,
sotto
il
profilo
in
esame,
ai
delitti
di
mafia,
in
relazione
ai
quali
tanto
questa
Corte
che
la
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
hanno
ritenuto
giustificabile
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere,
stabilita
dalla
norma
censurata.
Per
quanto
gravi,
i
fatti
che
integrano
tale
delitto
presenterebbero
disvalori
ampiamente
differenziabili
sul
piano
della
condotta
e,
soprattutto,
potrebbero
bene
proporre
anche
esigenze
cautelari
suscettibili
di
essere
soddisfatte
con
misure
diverse
dalla
custodia
carceraria.
La
presunzione
censurata,
di
conseguenza,
si
porrebbe
in
contrasto
–
conformemente
a
quando
deciso
dalla
citata
sentenza
n.
265
del
2010
–
con
i
principi
di
eguaglianza
e
di
ragionevolezza
(art.
3
Cost.)
e
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.),
nonché
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.).
2.
–
La
questione
è
fondata,
nei
termini
di
seguito
specificati.
3.
–
Con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
questa
Corte
ha
già
dichiarato
l’illegittimità
costituzionale
della
norma
censurata,
nella
parte
in
cui
configura
una
presunzione
assoluta
–
anziché
soltanto
relativa
–
di
adeguatezza
della
sola
custodia
in
carcere
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
nei
confronti
della
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
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