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colpevolezza
per
taluni
delitti
a
sfondo
sessuale:
in
particolare,
per
i
reati
di
induzione
o
sfruttamento
della
prostituzione
minorile,
violenza
sessuale
e
atti
sessuali
con
minorenne
(artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐ bis
e
609-‐quater
cod.
pen.).
Ad
analoga
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
questa
Corte
è
altresì
pervenuta,
successivamente
all’odierna
ordinanza
di
rimessione,
con
la
sentenza
n.
164
del
2011,
nei
riguardi
della
medesima
norma,
nella
parte
in
cui
assoggetta
a
detta
presunzione
assoluta
anche
il
delitto
di
omicidio
volontario
(art.
575
cod.
pen.).
3.1.
–
In
entrambe
le
occasioni,
la
Corte
ha
rilevato
come
i
limiti
di
legittimità
delle
misure
cautelari
–
nell’ambito
della
cui
disciplina
si
colloca
la
disposizione
scrutinata
–
risultino
espressi,
a
fronte
del
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
–
oltre
che
dalle
riserve
di
legge
e
di
giurisdizione
(art.
13,
secondo
e
quarto
comma,
Cost.)
–
anche
e
soprattutto
dalla
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
a
fronte
della
quale
le
restrizioni
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
nel
corso
del
procedimento
debbono
assumere
connotazioni
nitidamente
differenziate
da
quelle
della
pena,
irrogabile
solo
dopo
l’accertamento
definitivo
della
responsabilità.
I
principi
costituzionali
di
riferimento
implicano
che
la
disciplina
della
materia
debba
essere
ispirata
al
principio
del
«minore
sacrificio
necessario»
(sentenza
n.
295
del
2005):
la
compressione
della
libertà
personale
va
contenuta,
cioè,
entro
i
limiti
minimi
indispensabili
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
del
caso
concreto.
Ciò
impegna
il
legislatore,
da
una
parte,
a
strutturare
il
sistema
cautelare
secondo
il
modello
della
“pluralità
graduata”,
predisponendo
una
gamma
di
misure
alternative,
connotate
da
differenti
gradi
di
incidenza
sulla
libertà
personale;
dall’altra,
a
prefigurare,
in
corrispondenza,
criteri
per
scelte
“individualizzanti”
del
trattamento
cautelare,
coerenti
e
adeguate
alle
esigenze
configurabili
nei
singoli
casi
concreti.
Questo
insieme
di
indicazioni
costituzionali
trova
puntuale
espressione
nella
disciplina
generale
dettata
in
materia
dal
codice
di
procedura
penale.
A
fronte
della
tipizzazione
di
un
“ventaglio”
di
misure,
di
gravità
crescente
(artt.
281-‐285),
il
criterio
di
«adeguatezza»
(art.
275,
comma
1)
–
dando
corpo
al
principio
del
«minore
sacrificio
necessario»
–
impone
al
giudice
di
scegliere
la
misura
meno
afflittiva
tra
quelle
astrattamente
idonee
a
tutelare
le
esigenze
cautelari
ravvisabili
nel
caso
di
specie.
Da
tali
coordinate
si
discosta
vistosamente
la
disciplina
dettata
dal
secondo
e
dal
terzo
periodo
del
comma
3
dell’art.
275
cod.
proc.
pen.
–
inserita
tramite
una
serie
di
interventi
novellistici
–
la
quale
stabilisce,
rispetto
ai
soggetti
raggiunti
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
taluni
delitti,
una
duplice
presunzione:
relativa,
quanto
alla
sussistenza
delle
esigenze
cautelari;
assoluta,
quanto
alla
scelta
della
misura,
reputando
il
legislatore
adeguata,
ove
la
presunzione
relativa
non
risulti
vinta,
unicamente
la
custodia
cautelare
in
carcere,
senza
alcuna
possibile
alternativa.
Proprio
per
i
marcati
profili
di
eccezione
rispetto
al
regime
ordinario,
la
disciplina
derogatoria
–
riferita,
ai
suoi
esordi,
ad
un
ampio
ed
eterogeneo
parco
di
figure
criminose
–
era
stata
limitata,
a
partire
dal
1995
e
in
una
prospettiva
di
recupero
delle
garanzie,
ai
soli
procedimenti
per
i
«delitti
di
cui
all’articolo
416-‐bis
del
codice
penale
o
ai
delitti
commessi
avvalendosi
delle
condizioni
previste
dal
predetto
articolo
416-‐bis
ovvero
al
fine
di
agevolare
l’attività
delle
associazioni
previste
dallo
stesso
articolo»
(art.
5,
comma
1,
della
legge
8
agosto
1995,
n.
332,
recante
«Modifiche
al
codice
di
procedura
penale
in
tema
di
semplificazione
dei
procedimenti,
di
misure
cautelari
e
di
diritto
di
difesa»).
Così
circoscritta,
essa
aveva
superato
il
vaglio
tanto
di
questa
Corte
(ordinanza
n.
450
del
1995),
che
della
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
(sentenza
6
novembre
2003,
Pantano
contro
Italia).
Entrambe
le
Corti
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