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prevenzione,
cura
e
riabilitazione
dei
relativi
stati
di
tossicodipendenza).
Questa
sentenza
ricorda
«quelle
caratteristiche
peculiari
del
delitto
mafioso
che
lo
connotano
di
particolare
pericolosità»,
che
ritiene
non
ravvisabili
nel
reato
associativo
finalizzato
alla
cessione
di
stupefacenti
e
che,
ad
avviso
del
rimettente,
ancor
meno
sarebbero
ravvisabili
nella
fattispecie
associativa
in
esame,
che
si
connota
come
fattispecie
“aperta”,
nel
senso
che
«può
manifestarsi
tramite
una
complessa
organizzazione,
con
consistenti
investimenti
di
capitali,
ma
anche
tramite
forme
del
tutto
minimali».
Ritiene
dunque
il
rimettente
che
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
nella
parte
in
cui
richiama
l’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.
in
relazione
al
delitto
dell’art.
416
cod.
pen.
finalizzato
alla
realizzazione
dei
reati
di
cui
agli
artt.
473
e
474
cod.
pen.,
contrasti
con
l’art.
3
Cost.,
«derogando
al
principio
di
uguaglianza
sulla
base
di
una
scelta
irragionevole
perché
impositiva
di
una
presunzione
assoluta
in
materia
di
misure
cautelari
non
basata
su
una
peculiare
specificità
della
fattispecie
penale
alla
quale
fa
riferimento».
Di
conseguenza,
la
norma
censurata
sarebbe
lesiva
anche
del
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
e
della
presunzione
di
non
colpevolezza,
dato
che
si
basa
su
«una
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
misura
cautelare
massima
senza
una
ragionevole
specificità
della
fattispecie
stessa».
2.–
È
intervenuto
nel
giudizio
di
legittimità
costituzionale
il
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri,
rappresentato
e
difeso
dall’Avvocatura
generale
dello
Stato,
e
ha
chiesto
che
la
questione
sia
dichiarata
non
fondata.
Richiamata
l’ordinanza
n.
450
del
1995
di
questa
Corte,
la
difesa
dello
Stato
osserva
che
mentre
la
sussistenza
in
concreto
delle
esigenze
cautelari
prefigurate
dalla
legge
non
può,
per
definizione,
prescindere
dall’accertamento
della
loro
esistenza,
la
scelta
del
tipo
di
misura
cautelare
non
impone
di
riservare
al
giudice
analogo
potere
di
apprezzamento.
Nel
caso
di
specie,
la
scelta
legislativa
di
imporre,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
il
ricorso
alla
custodia
cautelare
non
può
essere
ritenuta
irragionevole
in
relazione
al
reato
previsto
dall’art.
416
cod.
pen.,
in
considerazione
del
fatto
che
tale
fattispecie
inerisce
a
condotte,
non
meramente
individuali,
offensive
del
bene
fondamentale
dell’ordine
pubblico.
Andrebbe
esclusa,
inoltre,
l’incompatibilità
della
norma
denunciata
con
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
essendo
stata
rispettata
la
riserva
di
legge
in
materia
di
libertà
personale,
e
con
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
data
l’estraneità
di
tale
parametro
all’assetto
e
alla
conformazione
delle
misure
restrittive
della
libertà
personale,
che
operano
sul
piano
cautelare,
del
tutto
distinto
rispetto
a
quello
concernente
la
condanna
e
l’irrogazione
della
pena.
3.–
Con
una
successiva
memoria
difensiva,
l’Avvocatura
generale
dello
Stato
ha
ribadito
la
richiesta
di
declaratoria
di
manifesta
infondatezza
della
questione,
sottolineando
che
la
struttura
del
reato
previsto
dall’art.
416
cod.
pen.
realizzato
allo
scopo
di
commettere
i
reati
di
cui
agli
artt.
473
e
474
cod.
pen.
presenta
peculiarità
strutturali
tali
da
rendere
evidente
la
ragione
dell’imposizione
della
misura
cautelare
più
rigorosa,
non
diversamente
da
quanto
si
riscontra
rispetto
al
delitto
di
associazione
di
tipo
mafioso.
Nel
caso
in
esame,
sarebbe
la
peculiarità
dei
reati-‐fine
a
caratterizzare
l’associazione
come
organizzazione
imprenditoriale
stabile,
ovvero
articolata
e
complessa,
fondata
su
un
precisa
distribuzione
dei
ruoli
e
ramificata
su
una
porzione
stabile
di
territorio.
Secondo
l’Avvocatura
dello
Stato,
«dette
caratteristiche
costitutive
valgono
a
giustificare
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
misura
cautelare
censurata
nell’ordinanza
di
rimessione,
non
apparendo
che,
nella
generalità
dei
casi
concreti,
le
esigenze
cautelari
volte
a
recidere
i
contatti
tra
imputato
(o
indagato)
ed
associazione
criminale
di
appartenenza
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