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possano
essere
soddisfatte
con
misure
meno
severe
della
custodia
in
carcere».
Considerato
in
diritto
1.–
Il
Giudice
per
le
indagini
preliminari
presso
il
Tribunale
di
Ancona
dubita,
in
riferimento
agli
articoli
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
della
Costituzione,
della
legittimità
costituzionale
dell’articolo
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’art.
2,
comma
1,
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
«nella
parte
in
cui
impone
l’applicazione
o
non
consente
la
sostituzione
della
misura
cautelare
della
custodia
in
carcere
con
altra
differente
misura
meno
afflittiva»
in
relazione
al
delitto
di
cui
all’art.
416
del
codice
penale
realizzato
allo
scopo
di
commettere
i
reati
di
cui
agli
artt.
473
e
474
dello
stesso
codice.
Il
rimettente
ritiene
estensibili
alla
fattispecie
in
esame
le
ragioni
che
hanno
indotto
questa
Corte
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata
in
relazione
ad
alcuni
delitti
a
sfondo
sessuale
(sentenza
n.
265
del
2010),
al
delitto
di
omicidio
(sentenza
n.
164
del
2011)
e
al
delitto
previsto
dall’art.
74
del
d.P.R.
9
ottobre
1990,
n.
309
(sentenza
n.
231
del
2011).
Esclusa
la
praticabilità
di
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata,
in
considerazione
della
specificità
e
della
eterogeneità
delle
singole
fattispecie
cui
si
riferisce
l’art.
275,
comma
3,
censurato,
ad
avviso
del
rimettente
è
certamente
carente,
nell’associazione
per
delinquere
realizzata
allo
scopo
di
commettere
i
reati
di
cui
agli
artt.
473
e
474
cod.
pen.,
«un
forte
radicamento
in
un
dato
territorio,
come
pure
l’uso
di
forme
di
intimidazione
e
lo
stesso
legame
associativo
è
basato
su
un
rapporto
di
mera
convenienza
economica
e
non
sul
rispetto
di
codici
di
onore
o
patti
di
similare
valore»:
nella
fattispecie
in
esame
farebbero,
dunque,
difetto
proprio
le
caratteristiche
che
hanno
portato
questa
Corte
a
ritenere
non
irragionevole
la
deroga
della
disciplina
generale
delle
misure
cautelari
stabilita
per
i
reati
di
mafia
(ordinanza
n.
450
del
1995).
2.–
La
questione
è
fondata,
nei
termini
di
seguito
specificati.
3.–
In
via
preliminare,
deve
rilevarsi
che
è
corretta
la
tesi
del
rimettente,
secondo
cui
le
parziali
declaratorie
di
illegittimità
costituzionale
della
norma
impugnata,
aventi
per
esclusivo
riferimento
i
reati
oggetto
delle
precedenti
pronunce
di
questa
Corte,
non
si
possono
estendere
alle
altre
fattispecie
criminose
ivi
disciplinate.
È
inoltre
da
aggiungere
che
la
lettera
della
norma
impugnata,
il
cui
significato
non
può
essere
valicato
neppure
per
mezzo
dell’interpretazione
costituzionalmente
conforme
(sentenza
n.
219
del
2008),
non
consente
in
via
interpretativa
di
conseguire
l’effetto
che
solo
una
pronuncia
di
illegittimità
costituzionale
può
produrre.
4.–
La
norma
censurata
è
frutto
della
stratificazione
di
una
serie
di
interventi
legislativi,
che
ha
visto,
più
di
recente,
il
legislatore
del
2009
(art.
2,
comma
1,
lettere
a
e
a-‐bis,
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38)
estendere
la
disciplina
introdotta
nel
1995
per
i
delitti
di
cui
all’art.
416-‐bis
cod.
pen.
o
commessi
avvalendosi
delle
condizioni
previste
dal
predetto
art.
416-‐bis
ovvero
al
fine
di
agevolare
l’attività
delle
associazioni
previste
dallo
stesso
articolo
(art.
5,
comma
1,
della
legge
8
agosto
1995,
n.
332)
a
numerose
altre
fattispecie
penali,
tra
le
quali
quelle
individuate
attraverso
il
richiamo
ai
delitti
di
cui
all’art.
51,
commi
3-‐bis
e
3-‐quater,
cod.
proc.
pen.
Successivamente,
il
delitto
di
associazione
per
delinquere
realizzato
allo
scopo
di
commettere
i
delitti
previsti
dagli
artt.
473
e
474
cod.
pen.
è
stato
inserito,
nel
“catalogo”
dettato
dall’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.,
dall’art.
15,
comma
4,
della
legge
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