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della
presunzione
assoluta
si
può
cogliere
tutte
le
volte
in
cui
sia
“agevole”
formulare
ipotesi
di
accadimenti
reali
contrari
alla
generalizzazione
posta
a
base
della
presunzione
stessa»
(sentenza
n.
139
del
2010,
richiamata
dalle
decisioni
sopra
citate).
L’evenienza
ora
indicata
è
stata
riscontrata
in
rapporto
alla
presunzione
assoluta
in
questione,
nella
parte
in
cui
era
riferita
ai
delitti
a
sfondo
sessuale
prima
indicati
(sentenza
n.
265
del
2010),
all’omicidio
volontario
(sentenza
n.
164
del
2011),
all’associazione
finalizzata
al
narcotraffico
(sentenza
n.
231
del
2011)
e
alle
figure
di
favoreggiamento
delle
immigrazioni
illegali
richiamate
dall’art.
12,
comma
4-‐bis,
del
d.lgs.
n.
286
del
1998
(sentenza
n.
331
del
2011).
A
tali
figure
delittuose
non
poteva,
infatti,
estendersi
la
ratio
giustificativa
del
regime
derogatorio
già
ravvisata
dalla
Corte,
con
l’ordinanza
n.
450
del
1995,
per
i
delitti
di
mafia
(i
soli
considerati
dall’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
anteriormente
alla
novella
legislativa
del
2009),
considerando
che
dalla
struttura
stessa
della
fattispecie
e
dalle
sue
connotazioni
criminologiche
deriva,
nella
generalità
dei
casi
e
secondo
una
regola
di
esperienza
sufficientemente
condivisa,
un’esigenza
cautelare
alla
cui
soddisfazione
sarebbe
adeguata
solo
la
custodia
in
carcere
(non
essendo
le
misure
“minori”
sufficienti
a
troncare
i
rapporti
tra
l’indiziato
e
l’ambito
delinquenziale
di
appartenenza,
neutralizzandone
la
pericolosità).
Connotazioni
analoghe
non
erano
invece
ravvisabili
rispetto
alle
figure
criminose
sopra
elencate,
che
abbracciano
fatti
marcatamente
eterogenei
tra
loro
e
suscettibili
di
proporre,
in
un
numero
non
marginale
di
casi,
esigenze
cautelari
adeguatamente
fronteggiabili
con
misure
diverse
e
meno
afflittive
di
quella
carceraria.
Questa
Corte
ha
ritenuto,
quindi,
che
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
(così
come
l’art.
12,
comma
4-‐bis,
del
d.lgs.
n.
286
del
1998)
violasse,
in
parte
qua,
sia
l’art.
3
Cost.,
per
l’ingiustificata
parificazione
ai
delitti
di
mafia
e
per
l’irrazionale
assoggettamento
a
un
medesimo
regime
cautelare
dei
diversi
fatti
riconducibili
alle
indicate
figure
criminose;
sia
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
quale
referente
fondamentale
del
regime
ordinario
delle
misure
cautelari
privative
della
libertà
personale;
sia,
infine,
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
per
essere
attribuiti
alla
coercizione
processuale
tratti
funzionali
tipici
della
pena.
6.–
Particolarmente
significativa,
ai
fini
dello
scrutinio
della
presente
questione
di
legittimità
costituzionale,
è
la
sentenza
n.
231
del
2011,
con
la
quale
è
stata
dichiarata
illegittima
la
presunzione
de
qua
in
riferimento
a
una
fattispecie
associativa.
Con
tale
pronuncia,
infatti,
questa
Corte
ha
avuto
modo
di
porre
in
evidenza
che
il
delitto
di
associazione
di
tipo
mafioso
è
«normativamente
connotato
–
di
riflesso
ad
un
dato
empirico-‐sociologico
–
come
quello
in
cui
il
vincolo
associativo
esprime
una
forza
di
intimidazione
e
condizioni
di
assoggettamento
e
di
omertà,
che
da
quella
derivano,
per
conseguire
determinati
fini
illeciti.
Caratteristica
essenziale
è
proprio
tale
specificità
del
vincolo,
che,
sul
piano
concreto,
implica
ed
è
suscettibile
di
produrre,
da
un
lato,
una
solida
e
permanente
adesione
tra
gli
associati,
una
rigida
organizzazione
gerarchica,
una
rete
di
collegamenti
e
un
radicamento
territoriale
e,
dall’altro,
una
diffusività
dei
risultati
illeciti,
a
sua
volta
produttiva
di
accrescimento
della
forza
intimidatrice
del
sodalizio
criminoso.
Sono
tali
peculiari
connotazioni
a
fornire
una
congrua
“base
statistica”
alla
presunzione
considerata,
rendendo
ragionevole
la
convinzione
che,
nella
generalità
dei
casi,
le
esigenze
cautelari
derivanti
dal
delitto
in
questione
non
possano
venire
adeguatamente
fronteggiate
se
non
con
la
misura
carceraria,
in
quanto
idonea
–
per
valersi
delle
parole
della
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
–
“a
tagliare
i
legami
esistenti
tra
le
persone
interessate
e
il
loro
ambito
criminale
di
origine”,
minimizzando
“il
rischio
che
esse
mantengano
contatti
personali
con
le
strutture
delle
organizzazioni
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