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coercizione
intramuraria»,
ritenendo
irrilevante,
nel
caso
di
specie,
l’eccezione
di
illegittimità
costituzionale
proposta
dalla
difesa,
dato
il
carattere
preliminare
della
decisione
sulla
sussistenza
delle
esigenze
cautelari.
Il
giudice
rimettente
afferma
di
dover
procedere
a
un
nuovo
scrutinio
dell’impugnazione
dell’ordinanza
reiettiva
dell’istanza
di
revoca
o
di
sostituzione
della
custodia
cautelare
in
carcere,
precisando,
per
un
verso,
che
l’indagato
aveva
sostenuto
la
sopravvenuta
insussistenza
di
qualsiasi
esigenza
cautelare,
e,
per
altro
verso,
che
la
Corte
di
cassazione
aveva
disatteso
la
tesi
difensiva
dell’applicabilità
degli
arresti
domiciliari
nella
fase
successiva
all’adozione
della
misura
cautelare
carceraria.
Dovendosi
uniformare
alla
sentenza
di
annullamento,
il
Tribunale
del
riesame
di
Lecce
afferma
di
non
potere,
«in
presenza
di
residue
esigenze
cautelari
anche
di
minimo
grado,
adottare
in
relazione
ai
delitti
di
cui
all’art.
51,
commi
3
bis
e
3
quater
c.p.p.,
misure
cautelari
diverse
da
quella
della
custodia
in
carcere».
Il
rimettente
ritiene
poi
che
debba
essere
confermato
il
giudizio
già
espresso
dall’ordinanza
annullata
circa
la
perdurante
esistenza
di
esigenze
cautelari
e
che,
tuttavia,
tenuto
conto
del
ruolo
marginale
dell’imputato
e
dell’assenza
di
precedenti
penali,
le
esigenze
cautelari
potrebbero
essere
fronteggiate
con
misure
meno
afflittive
della
custodia
cautelare
in
carcere.
Perciò
la
questione
di
legittimità
costituzionale
prospettata
dalla
difesa
sarebbe
rilevante
e,
a
sostegno
della
ritenuta
non
manifesta
infondatezza
della
questione,
il
rimettente
ripropone
le
medesime
argomentazioni
già
svolte
nell’ordinanza
del
16
maggio
2012
(r.o.
n.
131
del
2012).
4.–
È
intervenuto
nel
giudizio
di
legittimità
costituzionale
il
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri,
rappresentato
e
difeso
dall’Avvocatura
generale
dello
Stato,
chiedendo
che
la
questione
sia
dichiarata
manifestamente
infondata.
La
scelta
legislativa
di
imporre,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
il
ricorso
alla
custodia
cautelare,
non
sarebbe
irragionevole
e
non
determinerebbe
un’ingiustificata
parificazione
del
trattamento
stabilito
per
chi
fa
parte
di
un’associazione
di
tipo
mafioso
con
quello
di
chi
si
limiti
ad
approfittare
della
condizione
di
assoggettamento
creata
da
un’associazione
di
tale
tipo.
La
norma
censurata,
inoltre,
non
sarebbe
in
contrasto
né
con
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
essendo
rispettata
la
riserva
di
giurisdizione
in
materia
di
provvedimenti
limitativi
della
libertà
personale,
né
con
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
data
l’estraneità
di
tale
parametro
all’assetto
e
alla
conformazione
delle
misure
operanti
sul
piano
cautelare.
5.–
Con
ordinanza
depositata
il
10
settembre
2012
(r.o.
n.
269
del
2012),
la
Corte
di
cassazione,
sezioni
unite
penali,
ha
sollevato,
in
riferimento
agli
artt.
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.,
questione
di
legittimità
costituzionale
dell’art.
275,
comma
3,
secondo
periodo,
cod.
proc.
pen.,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
ai
delitti
commessi
al
fine
di
agevolare
le
attività
delle
associazioni
previste
dall’art.
416-‐bis
cod.
pen.,
è
applicata
la
custodia
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
La
Corte
rimettente
riferisce
che
il
Tribunale
di
Palermo,
in
sede
di
appello
cautelare,
aveva
accolto,
con
ordinanza
del
14
ottobre
2011,
l’impugnazione
del
pubblico
ministero
avverso
la
decisione
del
giudice
per
le
indagini
preliminari
dello
stesso
tribunale
che
aveva
sostituito
con
la
misura
degli
arresti
domiciliari
quella
della
custodia
cautelare
in
carcere
inizialmente
disposta
nei
confronti
dell’imputato.
Questi,
all’esito
del
giudizio
abbreviato,
era
stato
condannato
per
il
delitto
di
favoreggiamento
personale
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