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regime
cautelare
speciale
non
risponda
«a
dati
di
esperienza
generalizzati».
Non
si
è,
infatti,
«in
presenza
di
un
“reato
che
implichi
o
presupponga
necessariamente
un
vincolo
di
appartenenza
permanente
a
un
sodalizio
criminoso
con
accentuate
caratteristiche
di
pericolosità
–
per
radicamento
nel
territorio,
intensità
dei
collegamenti
personali
e
forza
intimidatrice
–
vincolo
che
solo
la
misura
più
severa
risulterebbe,
nella
generalità
dei
casi,
in
grado
di
interrompere”
(sentenza
n.
164
del
2011).
Se,
come
si
è
visto,
la
congrua
“base
statistica”
della
presunzione
in
questione
è
collegata
all’“appartenenza
ad
associazioni
di
tipo
mafioso”
(sentenza
n.
265
del
2010),
una
fattispecie
che,
anche
se
collocata
in
un
contesto
mafioso,
non
presupponga
necessariamente
siffatta
“appartenenza”
non
assicura
alla
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
custodia
cautelare
in
carcere
un
fondamento
giustificativo
costituzionalmente
valido.
Il
semplice
impiego
del
cosiddetto
“metodo
mafioso”
o
la
finalizzazione
della
condotta
criminosa
all’agevolazione
di
un’associazione
mafiosa
[...]
non
sono
necessariamente
equiparabili,
ai
fini
della
presunzione
in
questione,
alla
partecipazione
all’associazione,
ed
è
a
questa
partecipazione
che
è
collegato
il
dato
empirico,
ripetutamente
constatato,
della
inidoneità
del
processo,
e
delle
stesse
misure
cautelari,
a
recidere
il
vincolo
associativo
e
a
far
venir
meno
la
connessa
attività
collaborativa,
sicché,
una
volta
riconosciuta
la
perdurante
pericolosità
dell’indagato
o
dell’imputato
del
delitto
previsto
dall’art.
416-‐bis
cod.
pen.,
è
legittimo
presumere
che
solo
la
custodia
in
carcere
sia
idonea
a
contrastarla
efficacemente».
7.–
A
rilievi
analoghi,
mutatis
mutandis,
si
espone
anche
la
fattispecie,
che
qui
particolarmente
interessa,
del
concorso
esterno
in
associazione
mafiosa.
È
noto
come
tale
figura
–
scaturente
dalla
combinazione
tra
la
norma
incriminatrice
di
cui
all’art.
416-‐bis
cod.
pen.
e
la
disposizione
generale
in
tema
di
concorso
eventuale
nel
reato
di
cui
all’art.
110
cod.
pen.
(e,
grazie
a
tale
clausola
estensiva,
pacificamente
ricompresa
nel
perimetro
di
operatività
del
regime
cautelare
speciale)
–
sia
stata
(e,
per
vari
profili,
resti)
al
centro
di
un
amplissimo
dibattito
giurisprudenziale
e
dottrinale,
scandito
da
reiterati
interventi
delle
sezioni
unite
della
Corte
di
cassazione.
In
questa
sede,
è
sufficiente,
peraltro,
rilevare
come
–
superati
definitivamente
gli
originari
dubbi
circa
l’astratta
configurabilità
del
concorso
eventuale
di
un
extraneus,
diverso
dai
concorrenti
necessari,
in
una
fattispecie
necessariamente
plurisoggettiva,
quale
quella
associativa
–
la
giurisprudenza
di
legittimità
appaia,
allo
stato,
saldamente
orientata
a
riconoscere
la
qualità
di
«concorrente
esterno»
al
soggetto
che,
senza
essere
stabilmente
inserito
nell’organizzazione
criminale,
e
rimanendo,
dunque,
privo
dell’«affectio
societatis»,
fornisce
un
contributo
causalmente
efficiente
–
oltre
che
consapevole
e
volontario
–
alla
conservazione
o
al
rafforzamento
delle
capacità
operative
del
sodalizio
(Corte
di
cassazione,
sezione
unite,
12
luglio-‐20
settembre
2005,
n.
33748;
nonché,
tra
le
ultime,
Corte
di
cassazione,
sezione
sesta,
18
giugno-‐31
luglio
2014,
n.
33885).
La
differenza
tra
il
partecipante
“intraneus”
all’associazione
mafiosa
e
il
concorrente
esterno
risiede,
pertanto,
nel
fatto
che
il
secondo,
sotto
il
profilo
oggettivo,
non
è
inserito
nella
struttura
criminale,
pur
offrendo
un
apporto
causalmente
rilevante
alla
sua
conservazione
o
al
suo
rafforzamento,
e,
sotto
il
profilo
soggettivo,
è
privo
dell’«affectio
societatis»,
laddove
invece
l’“intraneus”
è
animato
dalla
coscienza
e
volontà
di
contribuire
attivamente
alla
realizzazione
dell’accordo
e
del
programma
criminoso
in
modo
stabile
e
permanente
(Corte
di
cassazione,
sezione
sesta,
27
novembre-‐20
dicembre
2012,
n.
49757;
Corte
di
cassazione,
sezione
seconda,
20
aprile-‐16
maggio
2012,
n.
18797).
Dunque,
se
il
soggetto
che
delinque
con
“metodo
mafioso”
o
per
agevolare
l’attività
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