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rimuovere
gli
automatismi
applicativi
della
custodia
cautelare
in
carcere
e,
dall'altro,
nella
predisposizione
di
un
più
ampio
ventaglio
di
misure
alternative
alla
custodia
carceraria.
Ne
consegue
una
maggiore
responsabilizzazione
del
giudice
cautelare,
al
quale
spetta
di
dare
conto
nella
motivazione
delle
scelte
compiute.
La
motivazione
del
provvedimento
cautelare
diviene
così
il
perno
dell'intero
sistema.
La
ragionevolezza
della
restrizione
della
libertà
dell'accusato
si
misura
interamente
all'interno
della
giustificazione
offerta
dal
giudice.
La
motivazione
costituisce
dunque
la
garanzia
essenziale
di
tutela
della
libertà
ed
un
freno
all'uso
disinvolto
della
restrizione
carceraria
prima
della
condanna
definitiva.
È
necessario
perciò
offrire
una
disciplina
di
controllo
del
provvedimento
cautelare
che
sia
adeguata
al
maggiore
protagonismo
cui
assurge
la
giustificazione
del
provvedimento
nel
contesto
delle
modifiche
proposte.
A
questo
si
ispirano
le
modifiche
proposte
all'articolo
309
in
sede
di
riesame
(ossia
di
impugnazione
delle
ordinanze
che
dispongono
per
la
prima
volta
una
misura
cautelare).
La
centralità
della
motivazione
esige
forme
di
controllo
più
intense,
che
portino
all'annullamento
della
misura
quando
la
giustificazione
risulti
sostanzialmente
inadeguata
a
sorreggerla.
Inoltre,
si
introduce
una
adeguata
cornice
temporale
–
oggi
assente
–
per
la
stesura
della
motivazione
da
parte
del
giudice
dell'impugnazione,
onde
assicurare
che:
a)
essa
non
avvenga
con
eccessiva
dilazione
dal
tempo
del
provvedimento,
ciò
che
risulterebbe
a
danno
dell'accusato
ed
in
contrasto
con
la
logica
di
celerità
che
permea
l'intera
disciplina
del
riesame;
b)
vi
sia
per
il
giudice
tempo
adeguato
per
offrire
una
giustificazione
che
tenga
conto
di
tutti
i
profili
ed
elementi
che
la
legge
gli
impone
di
considerare.
Si
prevede
in
particolare:
che
l'accusato
abbia
sempre
diritto
a
comparire
personalmente,
superando
così
qualche
disorientamento
giurisprudenziale
sul
punto
(v.
modifiche
ai
commi
6
e
8-‐bis);
che
su
richiesta
della
difesa
il
giudice
possa
disporre
un
rinvio
dell'udienza
(v.
comma
9-‐bis);
resta
fermo
1'obbligo
di
decidere
entro
termini
perentori,
ma
i
termini
sono
allungati
di
un
termine
equivalente
al
rinvio
(che
non
può
comunque
essere
superiore
a
dieci
giorni);
che
il
giudice
del
riesame
cautelare
abbia
trenta
giorni
di
tempo
a
disposizione
dal
momento
della
deliberazione
per
redigere
la
motivazione,
a
pena
di
perdita
di
efficacia
della
misura
cautelare
(v.
comma
10).
Manca
nella
legislazione
attuale
qualsiasi
previsione
in
merito
e
la
prassi
giurisprudenziale
si
è
da
tempo
assestata
nel
senso
che
il
termine
perentorio
di
dieci
giorni
per
la
decisione
sia
riferibile
alla
sola
deliberazione
e
non
anche
al
deposito
della
motivazione
che
può
quindi
avvenire
successivamente,
al
di
fuori
di
qualsiasi
limite
temporale
e
senza
alcun
meccanismo
sanzionatorio;
che
il
giudice
del
riesame
cautelare
debba
annullare
la
ordinanza
(e
quindi
liberare
l'accusato)
quando
la
motivazione
del
provvedimento
cautelare
risulti
assente
o
non
contenga
l'autonoma
valutazione
di
tutti
gli
elementi
prescritti
dalla
legge
(v.
comma
9).
Attualmente
vige
il
diverso
principio
per
cui
il
giudice
del
riesame
possa
sempre
integrare
la
motivazione
invalida
del
giudice
cautelare,
senza
poter
mai
annullare
il
provvedimento
impugnato
per
difetto
di
motivazione.
Testo
collazionato
dell’art.
309
Art.
309
(Riesame
delle
ordinanze
che
dispongono
una
misura
coercitiva).
1.
Entro
dieci
giorni
dalla
esecuzione
o
notificazione
del
provvedimento,
l'imputato
può
proporre
richiesta
di
riesame,
anche
nel
merito,
della
ordinanza
che
dispone
una
misura
coercitiva,
salvo
che
si
tratti
di
ordinanza
emessa
a
seguito
di
appello
del
pubblico
ministero.
2.
Per
l'imputato
latitante
il
termine
decorre
dalla
data
di
notificazione
eseguita
a
norma
dell'articolo
165.
Tuttavia,
se
sopravviene
l'esecuzione
della
misura,
il
termine
decorre
40