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lavoro
che
è
emerso
dalle
audizioni
svolte
in
Commissione,
dove
un
altissimo
livello
di
contributi
è
diventato,
poi,
il
contenuto
di
diversi
emendamenti.
Voglio
ricordare,
innanzitutto,
l'importantissimo
contributo
dell'elaborato
della
commissione
istituita
presso
il
Ministero
della
giustizia,
presieduta
dal
presidente
della
corte
d'appello
di
Milano,
Giovanni
Canzio,
e
anche
il
contributo
del
professor
Glauco
Giostra,
presidente
della
commissione
ministeriale
di
studio
in
tema
di
ordinamento
penitenziario
e
misure
alternative.
Voglio
anche
citare
il
contributo
molto
importante
degli
operatori
del
diritto,
inteso
sia
come
magistratura
associata
che
l'avvocatura
associata.
Sono
stati
auditi
il
dottor
Rodolfo
Maria
Sabelli,
presidente
dell'Associazione
nazionale
magistrati,
l'avvocato
Valerio
Spigarelli,
presidente
dell'Unione
delle
camere
penali,
nonché
l'avvocato
Matteo
Pinna.
Da
queste
audizioni
sono
appunto
scaturiti
numerosi
emendamenti.
Vi
è
stato
anche
il
contributo
della
dottrina:
da
questo
punto
di
vista,
il
professor
Giorgio
Spangher,
professore
di
diritto
processuale
penale,
il
professor
Enrico
Marzaduri,
il
professor
Daniele
Negri
e
il
professor
Giulio
Illuminati.
Aggiungo
che
questi
interventi,
come
dicevo,
fermi
i
principi
a
cui
ho
fatto
cenno,
sono
stati
molto
mirati
su
alcuni
punti
critici.
Innanzitutto,
si
è
innovato
sull'articolo
275
del
codice
di
procedura
penale
sotto
vari
punti
di
vista,
ma
è
stata
prevista
la
possibilità
di
applicare
cumulativamente
le
misure
coercitive
o
interdittive.
In
questo
caso,
si
è
offerto
al
giudice
un
più
ampio
ventaglio
di
alternative
al
carcere,
rendendo
più
concreto,
quindi,
il
principio
di
residualità
della
restrizione
carceraria.
Il
giudice,
quindi,
su
richiesta
del
pubblico
ministero,
può
anche
applicare
congiuntamente
altra
misura
coercitiva
o
interdittiva.
Si
è,
quindi,
intervenuti
anche
specificamente
sull'articolo
che
riguarda
le
misure
interdittive,
specificamente
e
in
modo
anche
sistematico.
Infatti
è
stato
esteso
da
due
mesi
a
dodici
mesi
il
periodo
di
possibile
applicazione
di
queste
misure,
quindi
rendendole
più
concretamente
un
punto
di
riferimento
anche
alternativo
alla
misura,
appunto,
cautelare
in
carcere.
Si
è
intervenuto
anche
significativamente
sul
pericolo
di
fuga
e
reiterazione
dei
reati,
come
dicevo,
introducendo
il
requisito
della
attualità,
e
si
è
intervenuto
anche
significativamente
sul
fatto
che
non
basta
la
gravità
del
reato
per
poter
applicare
la
lettera
c)
dell'articolo
274:
devono
essere
molteplici
gli
elementi
da
cui
desumere
la
concretezza
e
l'attualità
del
pericolo,
quindi
non
soltanto
dalla
semplice
gravità
e
dalle
modalità
del
reato,
ma
facendo
riferimento
a
molteplici
indicatori
come,
tra
l'altro,
la
stessa
giurisprudenza
della
Corte
europea
dei
diritti
dell'uomo
ci
ha
da
tempo
indicato.
Per
quanto
riguarda
la
motivazione,
il
giudice
dovrà
motivare
in
maniera
approfondita
e
puntuale
e
non
potrà
ricorrere
a
tautologie,
e
questo
sia
con
riferimento
alla
scelta
e
all'adeguatezza
della
misura,
sia
anche
con
riferimento
al
fatto
di
avere
escluso
altre
misure
alternative.
Un
altro
significativo
intervento
è
quello
che
prevede
che
il
giudice
non
deve
applicare
la
misura
cautelare
non
soltanto
quando
in
astratto
ritenga
che
possa
essere
applicata
la
sospensione
condizionale
della
pena,
ma
anche
quando,
ai
sensi
dell'articolo
656
del
codice
di
procedura
penale,
ritenga
che
non
debba
essere
data
esecuzione
alla
pena.
Qui,
non
si
tratta
solo
di
una
questione
di
ampliamento,
diciamo
così,
del
range
previsto
dal
punto
di
vista
della
pena
a
cui
si
fa
riferimento,
ma
anche
concettualmente
è
un
passaggio
importante,
perché
quando
si
ritiene
di
non
dover
dare
esecuzione
alla
pena
non
potrà
essere
erogata
non
solo
la
custodia
cautelare
in
carcere,
ma
neanche
l'altra
privazione
della
libertà,
che
è
quella
degli
arresti
domiciliari.
Punto
molto
significativo,
come
abbiamo
detto,
anche
proprio
sotto
il
profilo
dell'ispirazione
del
nostro
intervento,
è
68