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Presidente
della
Corte
di
cassazione
di
due
anni
fa,
nel
quale
si
affermava:
«È
necessario
che
il
legislatore
assuma
sul
serio
la
natura
di
estrema
ratio
della
custodia
cautelare
in
carcere
e
la
preveda
soltanto
in
presenza
di
reati
di
particolare
allarme
sociale,
e,
soprattutto,
la
inibisca
quando
la
condotta
criminosa
presa
in
considerazione
sia
risalente
nel
tempo
e
non
accompagnata
da
manifestazioni
concrete
ed
attuali
di
pericolosità
sociale».
Tornando,
quindi,
al
provvedimento
in
questione,
questo
mira
non
tanto
a
ridurre
la
popolazione
carceraria,
così
contribuendo
a
dare
una
concreta
ed
effettiva
risposta
alla
drammatica
situazione
in
cui
versano
gli
istituti
penitenziari
italiani
ma,
anche
e
soprattutto,
a
reprimere
prassi
giudiziarie
inclini
a
forme
d'abuso
nell'applicazione
della
custodia
cautelare
in
carcere.
L'istituto
della
custodia
cautelare
in
carcere,
nel
tempo,
ha
infatti
subito
una
radicale
trasformazione,
divenendo
da
istituto
con
funzione
prettamente
cautelare,
nell'ottica
di
un'esigenza
di
prevenzione
dei
reati
e
di
tutela
da
forme
di
pericolosità
sociale,
a
una
vera
e
propria
forma
anticipatoria
della
pena,
con
violazione
del
principio
costituzionale
della
presunzione
di
non
colpevolezza.
La
stessa
Corte
europea
dei
diritti
dell'uomo,
nella
sentenza
dell'8
gennaio
2013,
la
cosiddetta
«sentenza
Torreggiani
contro
l'Italia»,
ha
evidenziato
come
il
problema
del
sovraffollamento
carcerario
sia
legato
anche
all'eccessivo
uso
della
custodia
cautelare
in
carcere.
Questi
i
motivi
dei
numerosi
richiami
ai
giudici
in
funzione
di
un
uso
più
responsabile
della
misura
carceraria,
considerando
realisticamente
le
esigenze
cautelari
e
valutandone
l'effettiva
attualità,
nonché
adeguando
le
soluzioni
individuate
ai
principi
di
proporzionalità
e
adeguatezza.
Il
testo
di
questa
riforma
impone
di
applicare
la
misura
della
custodia
cautelare
soltanto
qualora
le
altre
misure
coercitive,
come
gli
arresti
domiciliari,
o
interdittive,
come
ad
esempio
il
ritiro
del
passaporto,
anche
se
applicate
cumulativamente,
risultino
inadeguate.
Altra
importante
innovazione
è
costituita
dalla
proposta
di
modifica
dell'articolo
275
del
codice
di
procedura
penale
in
materia
di
scelta
delle
misure
cautelari,
proponendo
la
finalità
di
escludere
sia
la
custodia
in
carcere,
sia
gli
arresti
domiciliari,
quando
il
giudice
ritenga
che
l'eventuale
sentenza
di
condanna
non
verrà
poi
materialmente
eseguita
in
carcere.
Anche
i
presupposti
per
il
ricorso
alle
misure
cautelari
sono
resi
più
stringenti,
richiedendosi,
sia
nella
valutazione
del
pericolo
di
fuga
che
in
quello
di
reiterazione
del
reato,
la
verifica,
oltre
che
della
concretezza,
anche
dell'attualità
del
pericolo.
In
tale
direzione,
in
relazione
alla
necessità
di
verificare
l'attualità
del
pericolo
di
reiterazione
del
reato,
già
la
Corte
di
cassazione
ha
rilevato
che
il
giudice
deve
«procedere
ad
individuare,
in
modo
particolarmente
specifico
e
dettagliato,
gli
elementi
concludenti
atti
a
cogliere
l'attualità
e
la
concretezza
del
pericolo
di
reiterazione
criminosa
fronteggiabile
soltanto
con
la
permanenza
in
carcere»
(questa
è
la
sentenza
n. 10673
del
2003
della
Corte
di
Cassazione).
Tale
orientamento
giurisprudenziale
si
riscontra
anche
nelle
decisioni
di
merito
che
ritenevano,
in
larghissima
parte,
necessario
questo
elemento.
Nella
valutazione
dei
presupposti
del
pericolo
di
fuga
e
del
pericolo
di
reiterazione
del
reato,
inoltre,
il
giudice
non
può
fondarsi
unicamente
sulla
base
della
gravità
del
reato
attribuito,
ovvero
delle
modalità
del
fatto-‐ reato,
ma
l'accertamento
dovrà
coinvolgere
elementi
ulteriori
quali,
ad
esempio,
i
precedenti
e
la
personalità
dell'imputato.
Questa
disposizione
mira
ad
introdurre
una
limitazione
alla
discrezionalità
del
giudice
stabilendo,
appunto,
che
le
modalità
del
fatto
non
bastano
a
fondare
il
pericolo
di
reiterazione
del
reato,
con
riferimento
a
tutti
i
casi
di
reiterazione
previsti
dalla
lettera
c)
dell'articolo
274
del
codice
di
procedura
penale,
ed
anche
che
le
circostanze
del
fatto
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