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regolare,
sappiamo
che
una
parte
significativa
di
chi
è
in
carcere
è
costituita
da
soggetti
«ristretti»
in
assenza
di
giudizio.
Ragioniamo
sul
linguaggio:
«ristretti»
è
uno
dei
modi
garbati
del
linguaggio
giuridico,
come
quando
invece
di
dire
«uccisi»
attraverso
una
pena
capitale
si
dice
«giustiziare»,
oppure
in
inglese
si
dice
solo
«eseguire».
Ristretti
significa,
in
realtà
–
gli
italiani
debbono
saperlo
–
persone
che
erano
e
sono
libere,
che
sono
indagate,
che
non
sono
state
condannate
e,
quando
anche
non
ci
sono
rischi
di
reiterare
il
reato
o
di
inquinare
le
indagini,
finora
sono
stati
tenuti
in
carcere,
vengono
marchiati
con
il
carcere,
vengono
marchiate
le
loro
famiglie
e
i
loro
figli,
che
diventano
i
figli
dei
carcerati
e
sono
tenuti
accanto
ai
condannati.
In
questo
carcere
–
lo
sappiamo
–
si
crea
oggi
ancora
più
recidiva
che
redenzione,
nel
67
per
cento
dei
casi,
due
volte
su
tre.
Allora,
è
un
terreno
scivoloso
questo:
riguarda,
non
solo
la
legge,
ma
anche
la
prassi,
e
quindi
un
cambiamento
di
mentalità.
Noi
oggi
sappiamo
che
abbiamo
in
carcere,
su
circa
67
mila
detenuti,
circa
30
mila
ancora
non
condannati.
Di
questi,
la
metà,
circa
15
mila,
non
sono
stati
condannati
neanche
in
primo
grado;
molti
di
questi,
verranno
rilasciati
innocenti.
A
metà
del
2013,
la
popolazione
carceraria,
nonostante
le
misure
messe
in
atto
dai
due
Governi
degli
ultimi
due
anni
si
è,
di
nuovo,
avvicinata
ai
massimi
mai
raggiunti
nel
2010:
siamo
a
66
mila
presenze
al
30
giugno
del
2013.
Un
detenuto
su
tre
è
gravemente
malato,
il
15
per
cento
ha
patologie
psichiatriche
e
molti
hanno
malattie
infettive,
tubercolosi,
scabbia,
AIDS
e
sifilide.
Secondo
un'indagine
del
Ministero
della
salute
del
2012,
uno
su
tre
dei
malati,
cioè
un
detenuto
su
dieci,
non
sa
di
essere
ammalato.
Colpevoli
accertati
e
presunti
innocenti
condividono
la
stessa
esistenza:
i
posti
letto
disponibili
sono
46
mila
e
c’è
un
affollamento
del
157,
1
per
cento,
contro
una
media
europea
sotto
il
96
per
cento.
Le
sindromi
depressive
sono
comuni
e
sappiamo
che
in
carcere
si
suicida
un
detenuto
su
mille,
mentre
fuori
dal
carcere
ancora
si
suicida
una
persona
ogni
20
mila.
Ogni
dieci
detenuti
che
si
suicidano
c’è
un
agente
di
custodia,
il
doppio
degli
altri
cittadini
italiani.
Questo
ci
racconta
qualcosa.
Ma
quello
di
cui
stiamo
parlando
è
una
piccola
vergogna
tutta
italiana
che
diventa
un
macigno
sulla
vita
di
tanti:
è
il
«fenomeno
delle
porte
girevoli»:
abbiamo
più
di
10
mila
persone
che
stanno
in
carcere
meno
di
tre
mesi
e
che,
alla
fine,
vengono
riconosciute
innocenti.
Non
ha
significato,
non
ha
senso:
cioè,
un
numero
altissimo
di
persone,
9
mila,
sta
meno
di
sette
giorni
in
carcere.
Allora,
questo
provvedimento
serve
per
eliminare
questa
malattia
del
sistema
giudiziario
italiano.
Concludo:
se
costringere
chi
è
stato
condannato
con
sentenza
definitiva
a
un
regime
di
questo
tipo
è,
purtroppo,
diventato
anche
una
violazione
della
Carta
dei
diritti
dell'uomo
a
causa
delle
condizioni
aggiuntive
di
pena
non
previste
dalla
legge,
allora
assoggettarvi
presunti
innocenti
o
futuri
innocenti
costituisce
un'aggravante
intollerabile
per
uno
Stato
di
diritto.
Si
capisce
chiaramente
anche
dalla
raccomandazione
della
Comunità
europea
sulla
custodia
cautelare,
la
n. 13
del
2006,
che
dice
che
i
prigionieri
in
custodia
cautelare
saranno
soggetti
a
condizioni
appropriate
al
loro
stato
legale.
Questo
comporta
l'assenza
di
restrizioni
aggiuntive
a
quelle
necessarie
per
la
sola
amministrazione
della
giustizia,
la
sicurezza
dell'istituzione,
la
sicurezza
dei
prigionieri
e
dello
staff
e
la
protezione
dei
diritti
degli
altri,
in
particolare,
il
raggiungimento
e
il
compimento
delle
regole
richieste
dal
Regolamento
delle
prigioni
europee
e
dalle
altre
leggi
che
sono
state
stipulate
e
prescritte
dalla
parte
terza
dello
stesso
testo.
In
particolare,
devono
essere
garantiti
il
diritto
a
cure
sanitarie
adeguate,
nessun
controllo
sulla
corrispondenza
(non
è
garantito),
il
diritto
di
voto
(non
è
garantito),
il
diritto
all'istruzione
(non
è
sempre
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