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la
discrezionalità,
definendo
e
sfoltendo
gli
elementi
atti
a
giustificare
le
esigenze
cautelari.
Il
grande
elemento
innovativo
di
questa
legislazione
è
quello
di
affermare
il
carattere
residuale
del
ricorso
al
carcere,
specificando
che
tale
misura
può
essere
disposta
soltanto
quando
le
altre
misure
coercitive
o
interdittive
risultino
inadeguate.
Tali
misure,
a
differenza
di
quanto
è
oggi,
potranno
però
applicarsi
cumulativamente,
mentre
non
sarà
in
alcun
modo
possibile
decretare
la
custodia
in
carcere
o
gli
arresti
domiciliari
qualora
il
giudice
ritenga
che
l'eventuale
sentenza
di
condanna
non
verrà
eseguita
in
carcere
o
sarà
concessa
la
sospensione
condizionale
della
pena,
perché
è
una
follia
trattenere
in
carcere
una
persona
in
attesa
di
giudizio
quando
si
sa
da
principio
che
quel
giudizio
finirà
con
una
pena
non
detentiva.
Ovviamente,
il
testo
in
esame
manterrà
la
presunzione
assoluta
di
idoneità
della
sola
misura
carceraria
della
custodia
nei
casi
di
reati
di
particolare
gravità,
come
l'associazione
mafiosa,
i
delitti
di
associazione
sovversiva
e
l'associazione
finalizzata
al
terrorismo.
Per
quanto
riguarda,
invece,
altri
gravi
reati
come
l'omicidio,
l'induzione
alla
prostituzione
minorile,
la
violenza
sessuale,
il
rapimento,
l'estorsione,
varrà
una
clausola
di
salvaguardia
secondo
la
quale
la
custodia
in
carcere
è
considerata
la
via
principale,
a
meno
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
Su
questo
punto
voglio
essere
chiara:
qui
non
si
sta
mettendo
a
rischio
nessuno,
tanto
meno
le
vittime
dei
reati.
Al
giudice
rimarranno
tutti
gli
strumenti
normativi
necessari
per
impedire
all'imputato,
qualora
ve
ne
fosse
il
rischio
oggettivo,
di
reiterare
il
delitto.
Questo
provvedimento
nasce
dalla
necessità
di
ristabilire
un
giusto
equilibrio
tra
garanzia
della
giustizia
e
l'imperativo
della
difesa
dei
diritti
inalienabili
dell'individuo.
In
questa
ottica
è
stato,
quindi,
necessario
modificare
il
codice
di
procedura
penale,
prevedendo
l'esclusione,
dagli
elementi
che
potranno
giustificare
la
carcerazione
preventiva,
di
ogni
riferimento
a
specifici
comportamenti
dell'individuo
nel
corso
delle
indagini
preliminari.
Questi
comportamenti,
come
il
rifiuto
di
rendere
dichiarazioni,
i
precedenti
penali
o
la
personalità
dell'indagato,
potranno
essere
considerati
solo
ed
esclusivamente
dopo
il
rinvio
a
giudizio.
In
secondo
luogo,
per
quello
che
riguarda
il
pericolo
di
fuga
e
il
pericolo
di
reiterazione
del
reato,
non
basterà
più
il
solo
elemento
della
concretezza
del
pericolo,
ma
sarà
necessario
anche
quello
della
sua
attualità
che
non
potrà,
in
alcun
caso
e
in
nessun
modo,
essere
desumibile
esclusivamente
dalla
gravità
del
reato
e
dalle
modalità
e
circostanze
del
fatto
addebitato.
Così
come
abbiamo
escluso
che
il
pericolo
di
reiterazione
del
reato
possa
desumersi
dai
precedenti
comportamenti
o
dalla
personalità
dell'imputato.
Altra
misura
di
garanzia
sarà
la
disciplina
che
modifica
e
intensifica
l'obbligo
di
motivazione
delle
esigenze
cautelari.
Il
giudice
che
dispone
la
cautela
non
potrà
più,
infatti,
limitarsi
a
richiamare
per
relationem
gli
atti
del
pubblico
ministero,
ma
dovrà
dare
conto,
con
autonoma
motivazione,
delle
ragioni
per
cui
anche
gli
argomenti
della
difesa
sono
stati
disattesi,
pena
l'annullamento
della
misura
da
parte
del
tribunale
del
riesame.
Infatti,
come
è
emerso
nel
corso
dell'esame
e
dell'attività
conoscitiva
svolta
dalla
Commissione
giustizia,
troppo
spesso
le
valutazioni
del
giudice
sono
appiattite
su
quelle
del
pubblico
ministero
richiedente,
quando
non
addirittura
identiche
a
queste.
Se,
da
un
lato,
però
delimitiamo
e
rendiamo
più
stringenti
i
presupposti
e
le
motivazioni
della
custodia
cautelare,
dall'altro
rafforziamo
e
rendiamo
più
efficaci
le
misure
interdittive
diverse
dal
carcere
preventivo.
Aumentano
dagli
attuali
2
mesi
a
12
mesi
i
termini
di
durata
di
queste
misure
come,
ad
esempio,
la
sospensione
dell'esercizio
della
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