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Dico
immediatamente
che,
se
legiferassimo
animati
anche
noi
-‐
potrei
dire
accecati
-‐
da
questa
visione
manichea,
commetteremmo
un
grave
errore.
Occorre
in
questo
caso
perseguire
il
fine
di
una
legislazione
equilibrata
che
possa
essere
durevole
e
coerente
con
i
principi
costituzionali
e
sovranazionali.
La
riforma
prende
le
mosse
dalla
legge
n.
117
del
1988,
sulla
quale
si
interviene
oggi
a
seguito
di
sentenze
della
Corte
di
giustizia
dell'Unione
europea
che
il
relatore
ha
ben
evidenziato
nella
sua
relazione
introduttiva.
Piaccia
o
no,
in
tutti
i
sistemi
giuridici
europei
sono
previste
regole
particolari
per
la
responsabilità
civile
dei
magistrati
e,
in
alcuni
casi,
ancor
più
limitative
di
quelle
in
vigore
oggi
in
Italia
(si
pensi
alla
Gran
Bretagna,
alla
Svizzera
o
anche
al
Portogallo).
Da
avvocato
civilista
dico
che
l'attività
di
interpretazione
ed
applicazione
delle
leggi
è
una
delle
attività
intellettuali
più
complesse
in
cui
l'uomo,
insostituibile
da
qualunque
macchina,
oggi
e
per
sempre
agisce
con
tutte
le
sue
facoltà
culturali
più
alte
e
in
cui,
sollecitato
da
forme
e
manifestazioni
sempre
diverse
delle
fattispecie
concrete,
deve
agire
talvolta
anche
in
modo
innovativo
e
brillante.
Ecco
allora
che
occorre
evitare
a
tutti
i
costi
il
rischio
che
il
nuovo
regime
della
responsabilità
civile
ponga,
intimorendo
i
giudici,
una
cappa
di
piombo
sull'attività
interpretativa
delle
norme,
determinando
uno
statico
conformismo
alla
giurisprudenza
della
Cassazione
che
-‐
vi
assicuro
-‐
gli
stessi
giudici
della
Corte
non
auspicano,
perché
ovviamente
si
priverebbero
di
quelle
sollecitazioni
culturali
effervescenti
e
dinamiche
che
giungono
loro
dalle
sentenze
di
merito
e
dal
contributo
degli
avvocati.
Non
si
tratta
di
rimpiangere
la
stagione
dei
cosiddetti
pretori
d'assalto,
ma
di
riconoscere
come
un
dato
di
fatto,
ormai
acquisito
dalla
scienza
giuridica
mondiale,
che
la
norma
giuridica,
anche
nell'apparente
fissità
della
sua
formulazione
letterale,
ha
una
sua
vita
che
gli
deriva,
oltre
che
dai
rapporti
che
essa
stabilisce
con
le
altre
norme
dell'ordinamento
giuridico,
eventualmente
mutate,
dall'apporto
interpretativo
dei
giudici
nel
contatto
tra
la
norma,
la
vita
reale
e
le
vicende
umane
che
essa
pretende
di
regolare.
Detto
questo
come
premessa,
non
vi
è
dubbio
che
la
legge
n.
117
del
1988
meritava
una
modifica
perché
si
è
dimostrata
insufficiente
a
garantire
la
tutela
dei
cittadini
nei
confronti
degli
errori
dei
giudici
che
spesso
sono
gravidi
di
conseguenze
anche
devastanti
sulla
vita
delle
persone.
L'Europa,
con
le
sentenze
della
giustizia
europea
ci
ha
chiesto
una
modifica
e
il
Parlamento
italiano
interviene
modificando
la
norma.
Il
senatore
Lumia
spesso
ci
ricorda
che
l'Europa
ci
chiede,
ci
chiede,
ci
chiede;
e
il
Parlamento
italiano,
su
sollecitazione
e
su
richiamo
europeo,
interviene.
È
intervenuto
quando
l'Unione
europea
ci
ha
detto
che
dovevamo
intervenire
sul
sovraffollamento
delle
carceri:
il
Parlamento
e
questa
maggioranza
sono
allora
intervenuti
garantendo
ai
detenuti
che
vivevano
condizioni
disumane
un
risarcimento
(è
stato
così
definito
utilizzando,
peraltro,
un
termine
sbagliato;
essendo
infatti
fissato
un
limite
di
sette
euro
al
giorno
non
si
può
parlare
di
risarcimento,
quanto
piuttosto
di
indennizzo);
questa
maggioranza
pensa
così
di
aver
dato
puntuale
risposta
all'Europa
con
quel
provvedimento.
Oggi
l'Europa
ci
chiede
di
intervenire
sulla
citata
legge
n.
117
e
la
maggioranza
esegue
un'operazione
che,
se
consumata
in
un'aula
di
giustizia,
definirei
frode
processuale;
consumata
invece
in
Parlamento,
posso
definirla
frode
legislativa.
Cosa
fa
infatti
questa
operazione?
Quali
sono
i
due
punti
salienti
del
provvedimento
al
nostro
esame?
Bisognava
anzitutto
eliminare
il
filtro
previsto
dalla
citata
legge
n.
117
perché
seguendo
le
statistiche,
come
ricordato
dal
senatore
Buccarella,
su
100
domande,
si
registra
il
2,
3
o
4
per
cento
di
giudizi
di
ammissibilità;
vale
a
dire
un
blocco
rispetto
alla
possibilità
e
al
diritto
del
cittadino
di
adire
la
giustizia
per
essere
risarcito
dei
danni
che
ha
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