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prevedendo
un
diritto
di
rivalsa
dello
Stato
sul
magistrato
responsabile,
maggiorato
rispetto
al
passato.
Sono
certa
che
i
magistrati
seri,
laboriosi
e
retti
non
hanno
da
temere
da
questo
disegno
di
legge.
La
grande
maggioranza
dei
magistrati
che
sanno
il
fatto
loro,
sanno
scrivere
bene
una
motivazione,
conoscono
le
leggi
e
la
giurisprudenza
e
non
incorreranno
mai
nei
rigori
di
questa
nuova
legge.
Ricordo
che
chiunque
sia
chiamato
in
giudizio
può
chiedere
i
danni
per
la
lite
temeraria.
La
causa
risarcitoria,
chiaramente
pretestuosa
e
infondata,
volta
soltanto
ad
intimidire
il
giudice,
potrebbe
essere
giudicata
temeraria
ed
un
abuso
del
diritto
e,
quindi,
ritorcersi
contro
chi
la
intenta.
Mi
preme
però
dire
-‐
e
mi
avvio
a
concludere
-‐
che
vi
è
un
aspetto
che
la
riforma
non
tocca:
quello
del
colpevole
ritardo.
Come
ipotesi
di
responsabilità
si
parla
di
violazioni
di
legge
e
del
diritto
dell'Unione
europea;
si
parla
di
mancanza
di
motivazione
nei
provvedimenti
cautelari,
ma
non
si
dice
nulla
sul
ritardo.
Si
parla,
sì,
di
diniego
di
giustizia,
ma
non
mi
pare
che
vi
rientri
l'inescusabile
ritardo.
In
giro
per
il
Paese
vi
sono
purtroppo
-‐
anche
se
non
sono
la
maggioranza
-‐
magistrati
che
fanno
rinvii
assurdi
-‐
qualche
volta
per
giustificazioni
plausibili,
ma
spesso
no
-‐
per
cause
quasi
del
tutto
documentali,
dove
la
carta
canta;
cause
in
cui
ci
sarebbe
da
decidere
e
basta.
Gli
appelli
sono
fissati
a
due
o
tre
anni
dal
deposito
della
sentenza
di
primo
grado
e
questo
non
è
possibile;
specialmente
nel
settore
civile,
i
giudici
devono
fare
uno
sforzo
in
più.
La
denegata
giustizia
è
la
peggiore
ingiustizia.
Non
mi
sfuggono
le
strumentalità
e
il
carattere
ideologico
di
questo
disegno
di
legge:
un
chiaro
cedimento
agli
umori
antilegalitari
che
serpeggiano
in
quest'Aula.
C'è
sempre
la
puzza
di
rivalsa
contro
Mani
pulite
e
contro
la
procura
di
Milano,
ma
io
guardo
avanti.
Non
credo
che
si
tratti
di
un
concreto
attacco
all'indipendenza
dei
giudici
e
toglie
alibi
al
Governo
e
a
noi.
Adesso
passiamo
alle
riforme
vere,
quelle
che
servono
ai
cittadini
e
non
al
ceto
politico
per
autotutelarsi.
(Applausi
dal
Gruppo
PD).
Saluto
ad
una
rappresentanza
di
studenti
PRESIDENTE.
Rivolgo
un
saluto
da
parte
di
tutta
l'Assemblea
agli
studenti
e
ai
docenti
dell'Istituto
tecnologico
«John
von
Neumann»
di
Roma,
che
stanno
seguendo
i
nostri
lavori.
(Applausi).
Ripresa
della
discussione
dei
disegni
di
legge
nn.
1070,
315
e
374
(ore
10,54)
PRESIDENTE.
È
iscritto
a
parlare
il
senatore
Albertini.
Ne
ha
facoltà.
ALBERTINI
(NCD).
Signor
Presidente,
il
disegno
di
legge
che
ci
accingiamo
ad
approvare,
com'è
stato
ricordato
nei
numerosi
interventi
che
mi
hanno
preceduto,
colma
una
gigantesca,
paradossale,
quasi
incredibile
lacuna
legislativa,
che
parte
dal
notissimo
e
ampiamente
condiviso
referendum
del
1987,
allorquando
oltre
20
milioni
di
cittadini,
con
una
maggioranza
di
oltre
l'80
per
cento
dei
consensi,
aveva
richiesto
che
nel
nostro
Paese
la
responsabilità
di
chi
amministra
la
giustizia
potesse
essere
valutata
anche
nei
confronti
di
chi
avesse
titolo
ad
essere
risarcito
di
comportamenti
illeciti
o
non
professionali
ovvero
dolosi
da
parte
dell'ordine
giudiziario.
A
seguito
di
questo
referendum,
con
un
argomento
del
tutto
tipico
della
nostra,
per
così
dire,
cultura
giuridica,
un
esimio
esponente
della
dottrina,
il
professor
Vassalli,
che
per
altri
versi
noi
ammiriamo
e
lodiamo
per
la
sua
profonda
conoscenza
del
diritto,
redasse
una
legge,
la
n.
117,
che
entrò
in
vigore
nel
1988,
che
portò
ai
risultati
che
conosciamo
(poco
fa
sono
stati
citati
da
un
collega).
Facciamo
una
brevissima
ricognizione:
sono
circa
10.000
i
magistrati
in
organico
(in
ruolo
e
fuori
ruolo)
e
oltre
8
milioni
i
procedimenti
penali
e
civili
in
sofferenza,
nel
senso
che
non
sono
stati
ancora
esaminati
o
non
sono
al
livello
conclusivo
del
loro
iter.
Possiamo
immaginare,
quindi,
che
in
oltre
ventiquattro
anni
di
attività
giurisdizionale
compiuta
da
circa
10.000
magistrati
per
decine
di
milioni
di
casi,
qualche
evento,
anche
solo
per
un
fatto
statistico
di
imperizia,
di
negligenza,
di
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