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considerato
imperito
un
giudice
nel
momento
in
cui
un
concorso
pubblico,
fatto
con
tutti
i
criteri
che
conosciamo,
gli
aveva
dato
la
qualifica
di
assoluta
perizia
nel
conoscere
la
legge,
nell'interpretarla
e
nell'amministrarla.
Viene
in
mente
a
tutti,
non
essendo
il
diritto
una
scienza
esatta
come
la
fisica
e
la
matematica,
ma
piuttosto
avvicinabile
se
non
ad
una
scienza
a
qualcosa
di
certamente
diverso
da
un
criterio
rigoroso
dove
l'errore
non
è
ammesso
e
l'interpretazione
del
singolo
e
la
sua
condotta
non
hanno
una
grande
rilevanza
perché
sono
i
numeri
ad
esprimerla,
il
caso
della
medicina.
Quanti
medici
hanno
ottenuto,
magari
anche
cum
laude,
una
laurea
in
medicina
e
magari
hanno
conseguito
specializzazioni
importanti,
hanno
fatto
un'esperienza
davvero
ampia
in
molti
Paesi
e
tuttavia
sono
stati
imperiti
in
un
caso
singolo
di
particolare
delicatezza
che
ha
provocato
danni,
magari
anche
la
morte
o
l'invalidità
di
un
paziente?
E
perché
non
considerare,
in
assoluto
equilibrio
e
senza
alcuna
acrimonia
nei
riguardi
dell'ordine
giudiziario,
che
un
magistrato,
pur
avendo
superato
un
concorso,
possa
essere
imperito
in
un
caso
particolare,
magari
di
una
complessità
del
tutto
peculiare,
se
nel
momento
in
cui
deve
giudicare
o
indagare
su
un
fatto
non
ha
cognizioni
sufficienti
per
poterlo
fare,
o
non
chiede
il
necessario
aiuto
o
non
lo
fa
in
una
maniera
professionale?
Quindi,
insistiamo
nel
ribadire
che
questo
sia
un
argomento
che
possa
configurare
la
responsabilità
del
magistrato
in
subordine
a
quella
riconosciuta
da
parte
dello
Stato.
Come
è
stato
già
ricordato
da
parte
di
molti
colleghi
e
con
piena
rispondenza
nell'ambito
della
legislazione
che
stiamo
varando,
è
stata
eliminata
l'udienza
di
ammissibilità
nei
riguardi
della
rivalsa
allo
Stato:
il
cosiddetto
filtro
che
ha
portato,
come
sappiamo
a
quasi
nove
gradi
di
barriere
rimpalleggianti
l'una
all'altra
prima
dell'inizio
della
vera
e
propria
procedura
di
responsabilità,
con
il
risultato
che
conosciamo.
Su
decine
di
milioni
di
casi
potenziali
solo
sette
giudici,
in
ventisei
anni,
sono
stati
chiamati
a
rispondere
della
propria
responsabilità
per
fatti
connessi
con
la
loro
funzione.
Noi
riconosciamo,
per
ammettere
l'indipendenza
di
valutazione
del
giudice,
sia
sul
fatto
di
cui
deve
prendere
conoscenza
e
su
cui
deve
decidere,
sia
sull'interpretazione
della
norma,
che
sia
lasciato
al
libero
convincimento
dello
stesso
un
margine
di
discrezionalità
adeguato
perché
possa
essere
veramente
indipendente
il
suo
giudizio.
Non
possiamo
però
non
ribadire
-‐
e
su
questo
punto
abbiamo
introdotto
un
emendamento
che
riportiamo
in
Aula,
ancorché
bocciato
in
Commissione
giustizia
con
una
maggioranza
diversa
da
quella
che
sorregge
il
Governo
-‐
che,
ove
il
giudice
si
discosti
nella
sua
decisione
da
una
sentenza
emanata
dalla
Corte
di
cassazione
a
sezioni
unite,
debba
darne
una
motivazione
puntuale.
Anche
in
questo
caso
il
ministro
Orlando
ha
dato
la
sua
interpretazione.
È
pur
vero
che
la
sensibilità
del
magistrato
deve
percorrere
l'itinerario
storico,
i
cambiamenti
dei
costumi,
il
senso
di
modifica
di
alcuni
valori
che
il
correre
della
storia,
anche
velocizzato,
nella
nostra
epoca
moderna
produce;
ma
è
altrettanto
vero
che,
quando
ci
si
porta
davanti
a
un
tribunale,
ad
una
corte,
la
certezza
del
diritto,
la
prevedibilità
della
decisione,
il
precedente
della
massima
magistratura
(per
cui,
Roma
locuta,
causa
finita),
della
Corte
di
cassazione,
deve
essere
tenuto
in
seria
considerazione.
Quando
ci
sono
degli
argomenti
per
doversi
discostare,
in
piena
coscienza
e
in
assoluta
valutazione
giuridica
da
parte
del
libero
convincimento
del
giudice,
deve
essere
data
una
motivazione
adeguata
perché
questo
possa
avvenire
legittimamente.
Infine,
si
è
discusso
sul
caso
della
responsabilità
contabile
conseguente
ad
atti
che
possono
essere
oggetto
di
censura
e,
quindi,
di
percorrere
l'itinerario
che
porta
alla
responsabilità
civile,
prima
dello
Stato
e
poi
del
giudice
che
ha
compiuto
l'atto.
Noi
ribadiamo
che
questo
argomento
potrebbe
definirsi
come
un
emendamento
ricognitivo,
perché
non
credo
possa
esistere
una
esimente,
per
chi
amministra
la
legge,
dai
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