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della
giurisdizione.
Siamo
qui
perché
l'Unione
europea
ci
ha
sanzionati
per
ben
due
volte,
ritenendo
che
la
legislazione
adottata
dallo
Stato
italiano
non
contempli
alcuna
concreta
responsabilità
di
coloro
che
giudicano,
neppure
quando
gli
errori
sono
marchiani
e
comportano
la
devastazione
della
vita
dei
soggetti,
il
fallimento
delle
imprese
e
molti
danni
sociali
ed
umani,
già
di
per
sé
difficili
da
quantificare.
Ci
troviamo
in
una
tale
condizione
perché
in
questo
Stato
abbiamo
voluto
spogliare
il
potere
legislativo
di
quanto
previsto
dall'articolo
68
della
Costituzione,
consentendo,
nell'epoca
in
cui
i
processi
si
fanno
sui
giornali
e
nelle
televisioni,
di
esprimere
giudizi
e
macellare
la
gente
attraverso
di
essi.
Giornali
e
televisioni,
infatti,
ripropongono
di
continuo
i
teoremi
che
la
pubblica
accusa
affastella,
nel
momento
in
cui
applica
l'istituto
della
carcerazione
preventiva
nei
confronti
di
determinati
soggetti,
molte
volte
(spesso
lo
fa)
attraverso
l'applicazione
di
due
norme.
La
prima,
non
prevista
dal
codice,
riguarda
il
concorso
esterno,
reato
non
tipizzato,
ma
di
derivazione
giurisprudenziale,
che
viene
utilizzato
e
del
quale
molto
spesso
si
abusa
da
parte
dei
pubblici
ministeri;
la
seconda
è
la
carcerazione
preventiva,
altro
caposaldo
in
virtù
del
quale
si
lasciano
in
carcere
oggi
26.000
detenuti,
dei
quali
sappiamo
che
statisticamente
il
50
per
cento
sarà
assolto.
Siamo
quindi
in
una
Nazione
in
cui
tra
i
10.000
ed
i
12.000
cittadini
stanno
patendo
la
privazione
della
libertà,
pur
sapendosi
innocenti
e
pur
sapendolo
lo
Stato
stesso,
attraverso
la
magistratura.
Presidenza
del
vice
presidente
CALDEROLI
(ore
11,19)
(Segue
D'ANNA).
Si
tratta
di
una
barbarie:
volendo
fare
un
paragone
con
un
altro
ambito,
la
sanità,
è
come
se
sapessimo
che
13.000
persone
affette
da
una
malattia
sono
state
lasciate
a
se
stesse
e
quindi
vocate
alla
morte.
Ci
indigneremmo,
ma
cos'altro
è
per
un
uomo
la
prigione
preventiva,
cioè
prima
della
dichiarazione
di
colpevolezza,
innocente,
se
non
la
morte?
Veniamo
a
quest'ulteriore
tentativo
e,
se
mi
ascolta,
mi
rivolgo
al
vice
ministro
Costa
-‐
figlio
di
Raffaele
Costa,
uno
dei
padri
del
Partito
Liberale
-‐
che
però
è
in
altre
faccende
affaccendato.
Caro
Costa,
ma
non
ti
vergogni,
da
liberale,
di
portare
un
provvedimento
siffatto
in
quest'Aula?
Un
provvedimento
nel
quale,
timidamente,
la
Commissione
giustizia
ha
tentato
di
scrivere
che
tra
i
casi
di
punibilità
per
il
magistrato
c'è
anche
una
sentenza
che
non
sia
specificamente
ed
adeguatamente
motivata,
che
dovrebbe
essere
il
minimo
che
spinge
chi
giudica
ad
emanare
una
sentenza,
come
per
lo
scienziato
è
il
minimo
dimostrare
attraverso
calcoli
ed
evidenza
scientifica
le
tesi
della
propria
scoperta,
e
poi
è
arrivato
l'emendamento
del
Governo,
del
quale
tu
fai
parte,
che
sopprime
l'emendamento
della
Commissione
cancellando
proprio
le
parole
«specificamente
ed
adeguatamente
motivata».
Vale
a
dire
che
continuiamo
a
consentire
che
un
magistrato
possa
emettere
la
sentenza
che
procura
i
guasti
liberticidi
ed
umani
cui
poc'anzi
mi
sono
riferito,
senza
avere
l'obbligo
di
motivarla
adeguatamente
e
specificamente,
attagliandola
al
caso
che
ha
giudicato.
Tenete
conto
che
nei
Paesi
in
cui
vige
il
common
law
non
esiste
il
codice,
esiste
una
serie
di
sentenze
che
fanno
giurisprudenza
esse
stesse,
in
quanto
non
esiste
l'omicidio
ma
esistono
tanti
casi
e
tanti
diversi
contesti
e
circostanze
nei
quali
questo
reato
può
maturare,
per
cui
nella
culla
del
diritto
anglosassone
ogni
caso
deve
essere
giudicato
e
valutato
per
quello
che
è
e
non
può
essere
tassonomicamente
inquadrato
in
un
contesto
per
cui
valga
la
didascalia
di
omicidio
o
di
furto.
Cose
diverse
non
possono
infatti
essere
giudicate
alla
stessa
maniera.
Albertini,
nel
suo
dotto
e
pacato
linguaggio,
ha
richiamato
una
citazione.
Consentitemi
di
richiamarne
un'altra,
che
è
di
carattere
generale:
diceva
don
Lorenzo
Milani,
pedagogo
e
politico,
oltre
che
grande
sacerdote,
che
la
più
grande
delle
ingiustizie
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