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è
fare
parti
eguali
tra
diseguali.
Nel
momento
in
cui
non
abbiamo
un
ordinamento
basato
sulla
common
law,
spesso
trattiamo
casi
differenti
e
reati
maturati
in
contesti
e
in
circostanze
diverse
con
la
stessa
norma
del
codice.
Ecco
perché
la
norma
deve
essere
il
più
possibile
comprensiva
di
tutte
le
fattispecie
e
circostanze.
Ma
noi
oggi
cosa
facciamo?
Cassiamo
gli
unici
due
elementi
di
concretezza
che
possono
far
individuare
la
responsabilità,
l'imperizia
e
l'incapacità
di
un
magistrato:
la
specificità
e
l'adeguata
motivazione
per
cui,
attraverso
la
sentenza,
si
irroga
la
condanna.
Caro
Costa,
se
questo
è
allora
un
principio
di
liberalismo,
devo
dire
che
tu
calpesti
non
solo
il
tuo
credo
liberale,
ma
anche
la
storia
della
tua
famiglia!
COSTA,
vice
ministro
della
giustizia.
Ma
per
piacere!
D'ANNA
(GAL).
Non
puoi
venire
qui
dentro
a
proporre
un
provvedimento
di
questo
tipo,
che
reitera
la
consuetudine
che
i
magistrati
siano
irresponsabili
di
fronte
ai
propri
errori!
Lo
possono
fare
coloro
che
hanno
elevato
la
magistratura
a
momento
di
lotta
politica.
Lo
possono
fare
i
«manettari»,
qualche
tronfio
senatore
-‐
che
non
nomino
perché
non
è
presente
-‐
che
viene
a
fare
qui
lezioni
di
antimafia
non
temendo
né
il
ridicolo
né
i
trigliceridi,
come
il
senatore
Giarrusso,
ma
non
lo
puoi
fare
tu!
E
allora,
cosa
dire?
Se
verrà
mantenuto
questo
emendamento
soppressivo
della
specificazione
che
una
sentenza
debba
essere
adeguata
e
specifica
al
tempo
stesso
nella
motivazione,
dando
quindi
al
magistrato
l'impunibilità
e
l'irresponsabilità
assoluta,
noi
voteremo
contro,
non
perché
ci
piacciono
i
malavitosi
o
i
camorristi,
non
perché
noi
siamo
pronubi
o
complici
di
questi.
Noi,
in
questa
sede,
siamo
innanzitutto
i
responsabili
della
libertà
degli
individui;
siamo
innanzitutto
responsabili
del
fatto
che
gli
individui
non
soggiacciano
nella
loro
libertà
negativa
a
qualsiasi
forma
di
abominio
e
di
prevaricazione,
e
non
siano
soggetti
al
libero
arbitrio
e
al
potere
indiscusso,
indiscutibile
e
irreprensibile
di
magistrati
che,
come
tutti
i
professionisti,
come
tutti
i
gli
uomini,
devono
coniugare
la
libertà
con
la
responsabilità.
Perché
questo
ordine
che
si
è
fatto
potere
non
è
ricondotto
al
principio
di
responsabilità?
Che
cosa
lo
impedisce,
la
paura
della
denuncia?
Io
ho
già
ricevuto
qualche
avviso
obliquo
che
mi
dovrebbe
rendere
un
po'
più
calmo,
ma
io
non
ho
niente
da
nascondere
e,
là
dove
fossi
vittima
di
qualcosa
e
di
qualcuno,
restino
le
parole
che
pronuncio
in
quest'Aula.
Noi
abbiamo
la
schiena
dritta
perché
siamo
senatori
della
Repubblica
italiana
e
denunciamo
questo
regime
illiberale
attraverso
il
quale
chi
ci
giudica
e
ci
condanna
è
immune
da
qualsiasi
responsabilità
e
da
qualsiasi
atto
che
ne
accerti
la
serenità,
la
pacatezza
e,
soprattutto,
l'adesione
a
quelle
norme
di
diritto
alle
quali
dobbiamo
soggiacere
tutti.
Tra
l'assolutismo
del
Re
Sole
e
le
società
libere
e
democratiche
c'è
solo
la
legge:
chi
non
è
sotto
la
legge
è
nell'eversione
dello
Stato
e
della
civile
convivenza.
(Applausi
dal
Gruppo
FI-‐PdL
XVII
e
del
senatore
Albertini.
Congratulazioni).
PRESIDENTE.
È
iscritto
a
parlare
il
senatore
Compagna.
Ne
ha
facoltà.
*COMPAGNA
(NCD).
Signor
Presidente,
onorevole
rappresentante
del
Governo,
a
un
certo
punto
della
sua
relazione
questa
mattina,
il
collega
-‐
se
me
lo
consente,
l'amico
-‐
Buemi
ha
rivendicato
alla
propria
tradizione
politica,
quella
del
socialismo
autonomista
del
già
citato
il
ministro
Vassalli
e
ovviamente
anche
del
presidente
Craxi
e
di
tanti
altri,
la
continuità
di
convinzione
secondo
cui
la
responsabilità
civile
è
stato
il
deterrente
storicamente
individuato
dal
garantismo
per
responsabilizzare
i
protagonisti
dell'istituzione
giustizia.
Ovviamente
l'amico
Buemi
si
riferisce
a
quel
referendum
promosso
dal
Partito
Socialista
e
-‐
me
lo
consenta
l'onorevole
D'Anna
-‐
anche
dal
Partito
Liberale,
i
cui
esponenti
meritano
rispetto
e
affetto,
per
cui
mi
sono
parse
ingiuste
e
ingenerose
alcune
considerazioni
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