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attività
umane
sono
sottoposte
a
forme
più
o
meno
gravi
di
responsabilità.
Non
è
dunque
giustificabile,
e
lo
consideriamo
un
privilegio
insopportabile,
che
gli
errori
giudiziari
restino
privi
di
conseguenze
e
che
i
loro
responsabili
siano
al
riparo
da
ogni
conseguenza
grazie
alla
responsabilità
dello
Stato,
che
si
ripercuote,
alla
fine,
sui
diritti
di
ogni
cittadino.
Anche
i
richiami
della
giurisprudenza
delle
istituzioni
europee
confermano
inevitabilmente
il
principio
per
cui
non
vi
è
esercizio
di
potere
senza
corrispettiva
responsabilità.
Il
testo
licenziato
dalla
Commissione,
cui
va
il
mio
ringraziamento
per
il
lavoro
svolto,
è
un
buon
punto
di
partenza
in
tal
senso.
L'articolato
interviene
sul
sistema
sin
qui
disciplinato
dalla
legge
13
aprile
1988,
n.
117
che
regola
il
risarcimento
dei
danni
cagionati
nell'esercizio
delle
funzioni
giudiziarie
e
la
responsabilità
civile
dei
magistrati.
Come
è
noto,
tale
apparato
normativo
fu
introdotto
nel
nostro
ordinamento
a
seguito
di
referendum
abrogativo
che
incise,
eliminandole,
sulle
norme
del
codice
di
procedura
civile
che
disciplinavano
l'irresponsabilità
del
magistrato
per
danni
derivanti
dall'esercizio
delle
funzioni
giudiziarie.
Con
l'attuale
sistema
il
cittadino
può
agire
soltanto
contro
lo
Stato
e
non
direttamente
contro
il
magistrato.
In
caso
di
condanna
lo
Stato
può
esercitare
la
rivalsa
sul
magistrato
il
cui
comportamento
ha
dato
origine
alla
condanna.
L'articolo
1
contiene
oggetto
e
finalità
del
disegno
di
legge.
L'oggetto
è
la
modifica
delle
norme
di
cui
alla
legge
anzidetta
con
la
finalità
di
rendere
effettiva
la
disciplina
che
regola
la
responsabilità
civile
dello
Stato
e
dei
magistrati,
anche
alla
luce
dell'appartenenza
dell'Italia
all'Unione
europea.
Con
l'articolo
2
si
prevede,
intervenendo
sulla
stessa
legge,
che
«fermo
quanto
previsto
dai
commi
3
e
3-‐bis
e
salvi
i
casi
di
dolo,
nell'esercizio
delle
funzioni
giudiziarie
non
può
dar
luogo
a
responsabilità
l'attività
di
interpretazione
di
norme
di
diritto
né
quella
di
valutazione
del
fatto
e
delle
prove».
Inoltre,
si
stabilisce
che
«costituisce
colpa
grave
la
violazione
manifesta
della
legge
nonché
del
diritto
dell'Unione
europea,
il
travisamento
del
fatto
o
delle
prove,
ovvero
l'affermazione
di
un
fatto
la
cui
esistenza
è
incontrastabilmente
esclusa
dagli
atti
del
procedimento
o
la
negazione
di
un
fatto
la
cui
esistenza
risulta
incontrastabilmente
dagli
atti
del
procedimento,
ovvero
l'emissione
di
un
provvedimento
cautelare
personale
o
reale
fuori
dai
casi
consentiti
dalla
legge
oppure
senza
specifica
ed
adeguata
motivazione».
Con
il
comma
3-‐bis
si
stabilisce
che
«ai
fini
della
determinazione
dei
casi
in
cui
sussiste
la
violazione
manifesta
della
legge
nonché
del
diritto
dell'Unione
europea
si
tiene
conto,
in
particolare,
del
grado
di
chiarezza
e
precisione
delle
norme
violate
nonché
dell'inescusabilità
e
della
gravità
dell'inosservanza.
In
caso
di
violazione
manifesta
del
diritto
dell'Unione
europea
si
deve
tener
conto
della
posizione
adottata
da
un'istituzione
dell'Unione
europea,
nonché
della
mancata
osservanza
dell'obbligo
di
rinvio
pregiudiziale
ai
sensi
dell'articolo
267,
terzo
paragrafo,
del
Trattato
sul
funzionamento
dell'Unione
europea».
Con
l'articolo
3
si
propone
di
parificare
i
termini
per
l'esercizio
dell'azione
di
responsabilità.
Con
l'articolo
4,
che
esclude
l'efficacia
di
giudicato,
si
modifica
il
comma
2
dell'articolo
6
della
legge
n.
188
del
1988
(legge
Vassalli)
che
esclude
l'efficacia
di
giudicato
della
sentenza
di
condanna
al
risarcimento
nella
causa
di
rivalsa
e
disciplinare.
Con
gli
articoli
5
e
6
si
disciplinano
il
concreto
esercizio
dell'azione
di
rivalsa
e
dell'azione
di
regresso.
In
particolare,
per
quanto
riguarda
l'azione
di
rivalsa,
si
prevede
che
«il
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri,
entro
due
anni
dal
risarcimento
avvenuto
sulla
base
di
titolo
giudiziale
o
di
titolo
stragiudiziale,
ha
l'obbligo
di
esercitare
l'azione
di
rivalsa
nei
134