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confronti
del
magistrato
nel
caso
di
diniego
di
giustizia,
ovvero
nei
casi
in
cui
la
violazione
manifesta
della
legge
o
del
diritto
dell'Unione
europea
ovvero
il
travisamento
del
fatto
o
delle
prove»
siano
«stati
determinati
da
dolo
o
negligenza
inescusabile.
In
nessun
caso
la
transazione
è
opponibile
al
magistrato
nel
giudizio
di
rivalsa
o
nel
giudizio
disciplinare.
I
giudici
popolari
rispondono
soltanto
in
caso
di
dolo.
I
cittadini
estranei
alla
magistratura
che
concorrono
a
formare
o
formano
organi
giudiziari
collegiali
rispondono
in
caso
di
dolo
o
negligenza
inescusabile
per
travisamento
del
fatto
o
delle
prove».
«La
misura
della
rivalsa
non
può
superare
una
somma
pari
alla
metà
di
una
annualità
dello
stipendio,
al
netto
delle
trattenute
fiscali,
percepito
dal
magistrato
al
tempo
in
cui
l'azione
di
risarcimento
è
proposta,
anche
se
dal
fatto
è
derivato
danno
a
più
persone
e
queste
hanno
agito
con
distinte
azioni
di
responsabilità.
Tale
limite
non
si
applica
al
fatto
commesso
con
dolo.
L'esecuzione
della
rivalsa,
quando
viene
effettuata
mediante
trattenuta
sullo
stipendio,
non
può
comportare
complessivamente
il
pagamento
per
rate
mensili
in
misura
superiore
al
terzo
dello
stipendio
netto».
Come
già
detto,
il
testo
è
quindi
un
buon
punto
di
partenza.
Ciò
non
significa
che
non
sia
perfettibile
e
infatti,
a
nostro
avviso,
va
anche
raddrizzato.
Non
si
comprende
come
mai,
nei
casi
di
violazione
manifesta
della
legge,
non
si
debba
tener
conto
altresì
del
mancato
adeguamento
da
parte
del
giudice,
senza
una
sufficiente
motivazione,
all'interpretazione
della
legge
espressa
dalle
sezioni
unite
della
Corte
di
cassazione.
L'obbligo
per
il
giudice
di
motivare
sentenze
difformi
dai
pronunciamenti
a
sezioni
unite
della
Cassazione
è
certo
un
elemento
forte,
che
garantisce
però
l'affidamento
del
cittadino
alla
legge
ed
alle
istituzioni.
Nel
momento
in
cui,
ad
esempio,
si
chiede
alle
amministrazioni
trasparenza
nei
procedimenti
adottati,
nei
quali
la
motivazione
del
provvedimento
è
considerata
come
obbligatoria
nei
confronti
del
cittadino,
sia
come
elemento
di
trasparenza,
sia
come
fattore
di
eliminazione
delle
asimmetrie
informative
che
possono
sussistere
nei
procedimenti,
non
si
comprende
perché
ciò
non
possa
avvenire
anche
in
campo
giudiziario.
L'obbligo
per
i
magistrati
di
motivare
perché
si
discostino
dalle
sentenze
delle
sezioni
unite
della
Cassazione
è,
a
nostro
avviso,
un
diritto
del
cittadino,
che
deve
sapere
quale
sia
l'innovazione
apportata
dal
giudice.
La
funzione
nomofilattica
della
Corte
risponde
all'esigenza
di
assicurare
certezza
nell'interpretazione
delle
norme
e
garanzia
ai
diritti
dei
cittadini.
Il
disegno
di
legge
stabilisce
che
non
possa
dar
luogo
a
responsabilità
l'attività
di
interpretazione
di
norme
di
diritto,
ma
che,
in
caso
di
violazione
manifesta
della
legge,
debba
necessariamente
tenersi
conto
del
mancato
adeguamento,
senza
una
sufficiente
motivazione,
all'interpretazione
della
legge
espressa
dalle
sezioni
unite
della
Corte
di
cassazione.
D'altro
canto,
questa
funzione
della
Cassazione
si
articola
in
due
sottofunzioni
ben
distinte:
da
un
lato,
quella
di
garantire
l'attuazione
della
legge
nel
caso
concreto,
realizzando
il
profilo
giurisdizionale
in
senso
stretto;
dall'altro,
quella
di
fornire
indirizzi
interpretativi
uniformi,
per
mantenere,
nei
limiti
del
possibile,
l'unità
dell'ordinamento
giuridico
attraverso
una
sostanziale
uniformazione
della
giurisprudenza.
Questa
seconda
fattispecie
porta
quindi
alla
certezza
del
diritto
e
gli
stessi
interventi
legislativi,
anche
ultimamente,
sono
andati
nella
direzione
di
un
rafforzamento
di
tale
funzione
della
Corte.
Il
decreto
legislativo
n.
40
del
2006
ha
mirato
sostanzialmente
a
dare
maggior
peso
alle
pronunce
delle
sezioni
unite
della
Corte
di
cassazione,
impedendo
a
quelle
semplici
di
discostarsi
da
esse,
se
non
rimettendo
motivatamente
la
questione
problematica
ad
una
nuova
pronuncia
delle
sezioni
unite.
Il
decreto
valorizza
la
tradizionale
funzione
di
assicurare
l'uniforme
interpretazione
della
legge
e
di
garantire
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