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37
Tuttavia,
a
prescindere
dal
significato
da
attribuire
al
fatto
che
la
motivazione
della
sentenza
della
suprema
Corte
di
cassazione
del
18
marzo
2008
non
fa
riferimento
all’art.
2,
secondo
comma,
della
legge
n.
117/88
nonché
al
passo
della
sentenza
della
Corte
medesima
del
5
luglio
2007,
secondo
cui
le
«ipotesi
specifiche»
previste
all’art.
2
di
tale
legge
hanno
quale
«comune
fattore»
una
negligenza
inescusabile,
si
deve
rilevare
che,
a
fronte
dell’esplicito
tenore
dell’art.
2,
secondo
comma,
di
tale
legge,
lo
Stato
membro
convenuto
non
ha
fornito
alcun
elemento
in
grado
di
dimostrare
validamente
che,
nell’ipotesi
di
violazione
del
diritto
dell’Unione
da
parte
di
uno
dei
propri
organi
giurisdizionali
di
ultimo
grado,
tale
disposizione
venga
interpretata
dalla
giurisprudenza
quale
semplice
limite
posto
alla
sua
responsabilità
qualora
la
violazione
risulti
dall’interpretazione
delle
norme
di
diritto
o
dalla
valutazione
dei
fatti
e
delle
prove
effettuate
dall’organo
giurisdizionale
medesimo,
e
non
quale
esclusione
di
responsabilità.
38
Il
primo
addebito
della
Commissione
deve
essere
conseguentemente
accolto.
39
In
secondo
luogo,
la
Commissione
contesta
alla
Repubblica
italiana
di
limitare,
in
casi
diversi
dall’interpretazione
delle
norme
di
diritto
o
dalla
valutazione
di
fatti
e
di
prove,
la
possibilità
di
invocare
la
responsabilità
dello
Stato
italiano
per
violazione
del
diritto
dell’Unione
da
parte
di
uno
dei
propri
organi
giurisdizionali
di
ultimo
grado
ai
soli
casi
di
dolo
o
di
colpa
grave,
il
che
non
sarebbe
conforme
ai
principi
elaborati
dalla
giurisprudenza
della
Corte.
A
tal
riguardo,
la
Commissione
sostiene,
segnatamente,
che
la
nozione
di
«colpa
grave»,
di
cui
all’art.
2,
commi
1
e
3,
della
legge
n.
117/88,
viene
interpretata
dalla
suprema
Corte
di
cassazione
in
termini
coincidenti
con
il
«carattere
manifestamente
aberrante
dell’interpretazione»
effettuata
dal
magistrato
e
non
con
la
nozione
di
«violazione
manifesta
del
diritto
vigente»
postulata
dalla
Corte
ai
fini
del
sorgere
della
responsabilità
dello
Stato
per
violazione
del
diritto
dell’Unione.
40
Si
deve
ricordare,
a
tal
riguardo,
che,
secondo
costante
giurisprudenza
della
Corte,
tre
sono
le
condizioni
in
presenza
delle
quali
uno
Stato
membro
è
tenuto
al
risarcimento
dei
danni
causati
ai
singoli
per
violazione
del
diritto
dell’Unione
al
medesimo
imputabile,
vale
a
dire
che
la
norma
giuridica
violata
sia
preordinata
a
conferire
diritti
ai
singoli,
che
si
tratti
di
violazione
sufficientemente
caratterizzata
e,
infine,
che
esista
un
nesso
causale
diretto
tra
la
violazione
dell’obbligo
incombente
allo
Stato
e
il
danno
subito
dai
soggetti
lesi
(v.
sentenze
5
marzo
1996,
cause
riunite
C‐46/93
e
C‐48/93,
Brasserie
du
pêcheur
e
Factortame,
Racc.
pag.
I‐1029,
punto
51;
4
luglio
2000,
causa
C‐424/97,
Haim,
Racc.
pag.
I‐5123,
punto
36,
nonché
24
marzo
2009,
causa
C‐445/06,
Danske
Slagterier,
Racc.
pag.
I‐2119,
punto
20).
41
La
responsabilità
dello
Stato
per
i
danni
causati
dalla
decisione
di
un
organo
giurisdizionale
nazionale
di
ultimo
grado
che
violi
una
norma
di
diritto
dell’Unione
è
disciplinata
dalle
stesse
condizioni,
ove
la
Corte
ha
tuttavia
precisato
che,
in
tale
contesto,
la
seconda
di
dette
condizioni
dev’essere
intesa
nel
senso
che
consenta
di
invocare
la
responsabilità
dello
Stato
solamente
nel
caso
eccezionale
in
cui
il
giudice
abbia
violato
in
maniera
manifesta
il
diritto
vigente
(v.
sentenza
Köbler,
cit.,
punti
52
e
53).
42
Dalla
giurisprudenza
della
Corte
emerge,
inoltre,
che,
se
è
pur
vero
che
non
si
può
escludere
che
il
diritto
nazionale
precisi
i
criteri
relativi
alla
natura
o
al
grado
di
una
violazione,
criteri
da
soddisfare
affinché
possa
sorgere
la
responsabilità
dello
Stato
in
un’ipotesi
di
tal
genere,
tali
criteri
non
possono,
in
nessun
caso,
imporre
requisiti
più
rigorosi
di
quelli
derivanti
dalla
condizione
di
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