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meno
agli
obblighi
ad
essa
incombenti
in
forza
del
principio
generale
di
responsabilità
degli
Stati
membri
per
violazione
del
diritto
dell'Unione
imputabile
a
un
organo
giurisdizionale
nazionale
di
ultimo
grado.
È
sicuramente
opportuno
esaminare
gli
aspetti
sui
quali
la
Corte
di
giustizia
si
è
pronunciata
proprio
perché
ha
valutato
la
compatibilità
della
cosiddetta
«clausola
di
salvaguardia»,
la
quale
esclude
che
per
certe
attività
del
giudice
sia
configurabile
alcuna
forma
di
responsabilità
né
dello
Stato
né,
tantomeno,
del
magistrato.
La
Corte
ha
ritenuto
che,
allorché
nell'esercizio
di
tali
attività
(interpretazione
delle
norme
e
valutazione
dei
fatti
e
delle
prove)
venga
a
realizzarsi
una
violazione
manifesta
del
diritto
vigente
dell'Unione
europea
l'esclusione
della
responsabilità
dello
Stato
si
pone
in
contrasto
con
i
principi
della
stessa
Unione.
La
Corte
ha
pure
ritenuto
in
contrasto
con
il
diritto
l'ipotesi
in
cui
tale
limitazione
conduca
a
escludere
la
sussistenza
della
responsabilità
dello
Stato
in
casi
in
cui
sia
commessa
una
violazione
manifesta
del
diritto
vigente.
La
Corte
ha
specificato
altresì
che,
allo
scopo
di
valutare
il
carattere
manifesto
della
violazione,
deve
farsi
riferimento
ai
criteri
della
chiarezza
e
della
precisione
della
norma
violata,
al
carattere
intenzionale
della
violazione
e
alla
non
scusabilità
dell'errore
di
diritto.
Il
rischio
di
fronteggiare
un'antinomia
con
principi
altrettanto
basilari
è
evidente,
sol
che
si
ponga
mente
alla
produzione
giurisprudenziale
nostrana.
La
Corte
costituzionale,
già
con
la
sentenza
n.
2
del
1968,
rilevò
che,
ferma
restando
la
necessità
di
previsione
di
responsabilità,
la
singolarità
della
funzione,
la
natura
dei
provvedimenti
e
la
stessa
posizione
super
partes
possono
ben
indurre
a
istituire
condizioni
e
limiti
alla
responsabilità
dei
magistrati.
Tale
affermazione
fu
ribadita
da
altre
due
sentenze:
la
n.
26
del
1987
e
la
n.
468
del
1990.
Il
collegamento
tra
le
prerogative
di
autonomia
e
di
indipendenza
della
magistratura
e
la
responsabilità
dei
singoli
giudici
è
posto
esplicitamente
persino
a
livello
europeo,
sia
pure
nell'altra
organizzazione
sovranazionale
che
è
sorta
nel
secondo
dopoguerra:
nella
raccomandazione
del
Comitato
dei
Ministri
del
Consiglio
d'Europa
CM/REC
(2010)
sui
giudici,
adottata
il
17
novembre
2010,
al
paragrafo
67
si
legge
che
«soltanto
lo
Stato,
ove
abbia
dovuto
concedere
una
riparazione,
può
richiedere
l'accertamento
di
una
responsabilità
civile
del
giudice
attraverso
un'azione
innanzi
ad
un
tribunale».
Il
paragrafo
66
conferma
che:
«L'interpretazione
della
legge,
l'apprezzamento
dei
fatti
o
la
valutazione
delle
prove
effettuate
dai
giudici
per
deliberare
su
affari
giudiziari
non
deve
fondare
responsabilità
disciplinare
o
civile,
tranne
che
nei
casi
di
dolo
e
colpa
grave».
Il
paragrafo
70
afferma
che:
«I
giudici
non
devono
essere
personalmente
responsabili
se
una
decisione
è
riformata
in
tutto
o
in
parte
a
seguito
di
impugnazione».
L'intendimento
di
questo
paragrafo
della
raccomandazione
è
chiaro:
la
previsione
della
responsabilità
civile
del
magistrato,
pur
legittima,
non
può
essere
piegata
a
strumento
di
pressione,
anche
indiretta,
per
sottrarsi
a
decisioni
non
gradite,
fermo
restando
che
anche
condotte
che
non
raggiungono
la
gravità
oggettiva
e
soggettiva
meritevole
di
una
responsabilità
civile,
ma
che
causano
danni
ingiusti,
devono
trovare
nella
responsabilità
dello
Stato,
fatta
salva
l'azione
di
rivalsa,
la
risposta
di
tutela
alle
legittime
pretese
risarcitorie.
Quanto
al
panorama
comparatistico,
a
livello
nazionale
l'Europa
presenta
una
varietà
di
soluzioni
legislative
in
materia.
In
Germania,
la
responsabilità
civile
personale
è
prevista
dall'articolo
839
2
BGB
per
l'ipotesi
di
reato
che
produca
danno;
negli
altri
casi,
sussiste
responsabilità
dello
Stato
il
quale,
se
condannato,
può
agire
in
via
di
rivalsa.
In
Belgio,
la
responsabilità
civile
personale
è
ipotizzata
in
caso
di
dolo
intenzionale
o
di
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