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due
Camere,
almeno
quattro
proposte
di
legge:
Atti
Camera
nn.
1735
(Leva)
e
1850
(Brunetta)
e
Atti
Senato
nn.
315
e
374
(Barani).
Ma
sin
dalla
prima
legislatura
della
cosiddetta
seconda
Repubblica
furono
presentati
disegni
di
legge
di
modifica
della
cosiddetta
legge
Vassalli
(tra
gli
altri,
dai
forzisti
Martino,
Fontana,
Garagnani
e
Casellati,
dal
verde
Cento,
dagli
AN
Anedda,
Laboccetta
e
Valentino,
dagli
ex
democristiani
Cutrufo
e
D'Alia,
dai
radicali
Turco,
Perduca
e
Bernardini,
dai
democratici
Mantini,
Della
Monica
e
Ferranti,
dai
leghisti
Brigandì
e
Lussana
e
-‐
dulcis
in
fundo
-‐
dall'Italia
dei
Valori
con
Di
Pietro),
a
riprova
del
fatto
che
era
ed
è
un'esigenza
sentita
da
molti.
Ciò
al
netto
della
questione
europea,
che
è
arrivata
dopo
ed
ha
soltanto
aggiunto
un
rilievo
internazionale
a
carenze
nostrane.
Era
il
2000
quando
la
Corte
di
cassazione
rifiutò
di
adempiere
all'obbligo
di
rinvio
pregiudiziale
(obbligo
per
i
giudici
nazionali
di
ultima
istanza,
dicono
i
Trattati
europei),
da
cui
dipende
l'espletamento
stesso
della
funzione
interpretativa
conferita
dai
Trattati
europei
alla
Corte
di
giustizia
dell'Unione
europea.
Fu
questo
che
portò
alla
prima
condanna
italiana
a
Lussemburgo.
Essa
dispose,
quindi,
senza
meno,
la
trasposizione
della
sentenza
Köbler
al
caso
Traghetti
del
Mediterraneo,
con
sentenza
del
13
giugno
2006
(causa
C-‐173.03):
«La
necessità
di
garantire
ai
singoli
una
protezione
giurisdizionale
effettiva
dei
diritti
che
il
diritto
comunitario
conferisce
loro
osta,
allo
stesso
modo,
a
che
la
responsabilità
dello
Stato
non
possa
sorgere
per
il
solo
motivo
che
una
violazione
del
diritto
comunitario
imputabile
ad
un
organo
giurisdizionale
nazionale
di
ultimo
grado
risulti
dall'interpretazione
delle
norme
di
diritto
effettuata
da
tale
organo
giurisdizionale».
Eppure,
anche
il
dato
europeo
era
in
quel
momento
generico
e,
quindi,
suscettibile
di
essere
influenzato
da
una
decisa
presa
di
posizione
del
legislatore
italiano:
l'elemento
portante
della
ricognizione
fatta
dai
giudici
europei
era
ancora
il
fatto
che
la
legge
n.
117
contiene
la
previsione
di
una
responsabilità
diretta
dello
Stato
giudice,
in
quanto
titolare
della
funzione
giurisdizionale
e
non
del
singolo
magistrato-‐giudice,
per
un
atto,
un
comportamento
o
un
provvedimento
adottato
nell'esercizio
delle
funzioni
giurisdizionali.
La
scelta
di
rivalersi
su
quest'ultimo
è
quindi
discrezionale
ed
autonoma
rispetto
all'azione
verso
lo
Stato:
da
tempo
la
migliore
dottrina
comparatistica
aveva
saputo
offrire
spunti
di
interesse
in
proposito,
ricordando
che
esiste
un
tipo
di
danno
inferto
secundum
ius
e
che
a
questo
può
farsi
risalire
la
responsabilità
dell'agente
dello
Stato,
compreso
l'agente
investito
di
funzioni
giurisdizionali,
in
caso
di
mancato
adempimento
di
direttive.
Se
si
fossero
sapute
cogliere
queste
suggestioni
forse
la
situazione
italiana
in
Europa
non
sarebbe
degenerata
con
l'apertura
della
procedura
di
infrazione
del
2009
n.
2230
da
parte
della
Commissione
europea
per
il
mancato
adempimento
della
sentenza
Traghetti
del
Mediterraneo.
Ma
vi
erano
coloro
che
credevano
possibile
la
quadratura
del
cerchio
mediante
l'attribuzione
del
risarcimento
da
parte
dello
Stato,
senza
che
ad
essa
corrispondesse
una
successiva
decisione
di
esercitare
il
diritto
di
rivalsa
verso
il
giudice.
Con
la
sentenza
Commissione
europea
contro
Repubblica
italiana
(Corte
di
giustizia
del
24
novembre
2011
causa
C379/10)
dalla
Corte
di
giustizia
fu
nettamente
statuito
che
i
giudici,
come
tutti
gli
altri
organi
statali,
ivi
comprese
le
autorità
amministrative
e
gli
enti
locali,
sono
tenuti
a
disapplicare
la
normativa
nazionale
contrastante
con
il
diritto
dell'Unione
fornito
di
efficacia
diretta,
ovvero,
ove
possibile,
ad
interpretare
la
prima
conformemente
al
secondo,
adottando
i
provvedimenti
necessari
ad
assicurare
e
agevolare
la
piena
efficacia
di
tale
diritto
proprio
al
fine
di
non
determinare
una
responsabilità
dello
Stato
in
tal
senso
(la
Corte
europea,
cioè,
viene
in
soccorso
allo
Stato
italiano).
La
Corte
ritenne
in
contrasto
con
il
diritto
8