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l'ipotesi
in
cui
la
clausola
di
salvaguardia
conduca
ad
escludere
la
sussistenza
della
responsabilità
dello
Stato,
in
casi
in
cui
sia
commessa
una
violazione
manifesta
del
diritto
vigente.
La
Corte
specificò
altresì
che,
allo
scopo
di
valutare
il
carattere
manifesto
della
violazione,
deve
farsi
riferimento
ai
criteri
della
chiarezza
e
della
precisazione
della
norma
violata,
al
carattere
intenzionale
della
violazione
e
alla
non
scusabilità
dell'errore
di
diritto.
La
Repubblica
italiana,
escludendo
qualsiasi
responsabilità
dello
Stato
italiano
per
i
danni
arrecati
ai
singoli,
al
seguito
di
una
violazione
del
diritto
dell'Unione,
imputabile
ad
un
organo
giurisdizionale
nazionale
di
ultimo
grado,
qualora
tale
violazione
risulti
da
interpretazione
di
norme
di
diritto
o
da
valutazione
di
fatti
e
prove
effettuate
dall'organo
giurisdizionale
medesimo,
e
limitando
tale
responsabilità
ai
soli
casi
di
dolo
e
colpa
grave,
ai
sensi
dell'articolo
2,
commi
1
e
2,
della
legge
del
13
aprile
1988,
n.
117,
sul
risarcimento
dei
danni
cagionati
nell'esercizio
delle
funzioni
giudiziarie
e
sulla
responsabilità
civile
dei
magistrati,
è
quindi
venuta
meno
agli
obblighi
ad
essa
incombenti,
in
forza
del
principio
generale
di
responsabilità
degli
Stati
membri,
per
violazione
del
diritto
dell'Unione
imputabile
a
un
organo
giurisdizionale
nazionale
di
ultimo
grado.
Ora
fronteggiamo
una
terza
procedura
di
infrazione,
quella
che
determina
soltanto
il
quantum
della
multa
a
seguito
di
una
velocissima
procedura
per
l'ottemperanza:
un'imminente
pronuncia
dei
giudici
europei,
le
cui
condanne
possono
essere
assistite
da
una
riduzione
dei
conferimenti
di
risorse
economiche
dell'Unione
europea
all'Italia.
Siamo
pronti
a
spiegare
ai
cittadini
che
i
fondi
strutturali
per
la
nostra
agricoltura,
o
i
progetti
finanziati
col
piano
coesione
per
un
anno
non
avranno
soldi
perché
dobbiamo
pagare
le
conseguenze
dell'irresponsabilità
della
magistratura
associata
e
dell'irresolutezza
del
decisore
parlamentare?
Bene,
colleghi,
la
risposta
di
questo
relatore,
a
nome
della
Commissione
giustizia
del
Senato,
è
no:
il
punto
di
caduta
dell'interesse
nazionale
è
raggiunto
nel
testo
che
sottoponiamo
a
quest'Assemblea.
Il
disegno
di
legge
trasmesso
dalla
Commissione
giustizia
a
questa
Assemblea
costituisce
il
frutto
di
un
lungo
lavoro
istruttorio
avviato
al
principio
della
legislatura
e
conclusosi,
non
senza
momenti
di
grande
complessità
nel
raccogliere
il
consenso
sulle
singole
soluzioni
normative,
nella
seduta
notturna
di
mercoledì
5
novembre
scorso,
dopo
un
lungo
e
travagliato
dibattito.
È
noto
che
il
punto
di
partenza
per
l'adozione
di
una
nuova
disciplina
in
tema
di
responsabilità
civile
dei
magistrati
è
la
larga
condivisione
e
la
piena
consapevolezza
che
il
sistema
previsto
dalla
legge
n.
117
del
1988,
la
cosiddetta
legge
Vassalli,
non
si
è
rivelato
efficace
e
di
effettivo
ristoro
per
le
pretese
risarcitorie
dei
cittadini
derivanti
dall'attività
giudiziaria,
e
ciò
in
esito
ad
un
esame
consuntivo
ormai
più
che
venticinquennale.
L'impostazione
dei
disegni
di
legge
nn.
1070,
315
e
374,
presentati
rispettivamente
da
chi
vi
parla
e
dal
senatore
Barani,
intendeva
porre
mano
alle
aree
di
disciplina
che
più
di
tutte
determinavano
la
mancanza
di
effettività
nella
tutela
del
cittadino.
Ovviamente
le
iniziative
di
legge
muovevano
dal
presupposto
di
dover
rispettare
la
volonta
̀ dei
cittadini,
espressa
con
la
ben
nota
approvazione
del
quesito
referendario
del
1987
e
dal
necessario
rispetto
della
cornice
costituzionale
nonché,
da
ultimo,
dalla
necessità
di
far
fronte
ad
una
procedura
d'infrazione
europea.
Non
occorre
in
questa
sede
ricordare
le
molte
circostanze
in
cui
la
recente
vita
parlamentare
ha
visto
affiorare
emendamenti,
in
seno
alla
legge
comunitaria
ed
europea
degli
anni
scorsi,
volti
ad
introdurre
forme
di
responsabilità
civile
magistratuale
orientate
a
far
prevalere
la
procedura
di
infrazione
diretta.
Al
riguardo,
occorre
tener
presente
che
la
scelta
di
partenza
da
cui
muovere
per
la
9