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tra i diversi parametri di riferimento - di quelli attualmente previsti dal decreto-legge n. 429 del 1982. A tale soluzione è di conforto anche la considerazione che l’introduzione - imposta dal n. 1) della lettera c) dell’articolo 9 della legge delega - di soglie di punibilità ragguagliate all’ammontare dell’imposta evasa comporterà, inevitabilmente, un considerevole appesantimento del pro- cedimento penale, imponendo al giudice di sottoporre a verifica in tale sede l’intera posizione del contribuente, quale premessa per l’accertamento del quantum di evasione. In simile situazione, la collocazione delle soglie di punibilità su cifre non adeguatamente selettive rischierebbe di vanificare gli obiettivi di deflazione della riforma, in quanto i benefici in termini di abbattimento del numero dei procedimenti finirebbero per risultare annullati dal maggior dispendio di energie necessario onde definire i procedimenti residui.
Tale impostazione è stata condivisa dalle Commissioni parlamentari, che hanno anzi accennato all’opportunità di un ulteriore rafforzamento dell’effetto di selezione (in tal senso, in particolare, il parere della Commissione giustizia della Camera): suggerimento, questo, che ha indotto ad un ragionevole ritocco in aumento delle soglie, rispetto ai valori proposti nello schema preliminare.
Tanto puntualizzato, si prevede che il delitto resti integrato - in linea con il disposto di cui ai nn. 1), 2) e 3) della lettera c) della legge delega - solo quando la falsa indicazione in dichiarazione degli elementi attivi o passivi porti al superamento congiunto di due soglie (da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato, e che, in quanto tali, debbono essere investiti dal dolo).
In primo luogo, l’imposta evasa deve risultare superiore a lire centocinquanta milioni con riferimento a taluna delle singole imposte. Quest’ultima specificazione, che tiene conto del sistema della dichiarazione unica, esclude la sommatoria tra evasione concernente le imposte sui redditi e evasione concernente
l’imposta sul valore aggiunto, incrementando così l’effetto deflattivo della soglia; al tempo stesso, però, rende rilevante il superamento del limite anche quando si sia verificato in rapporto ad una soltanto delle imposte considerate.
La nozione di «imposta evasa» è fornita dalla lettera f) dell’articolo 1: deve considerarsi tale, cioè, la differenza fra l’imposta effettivamente dovuta e quella che (a seguito della mendace esposizione dei componenti reddituali o delle basi imponibili) è stata indicata (come dovuta) in dichiarazione. Da tale importo vanno tuttavia sottratte le somme che il contribuente, od altri in sua vece (nella veste, segnatamente, di sostituito d’imposta), abbiano in fatto versato a qualunque titolo (acconto, ritenuta, ecc.) in pagamento dell’imposta prima della presentazione della dichiarazione (che segna il momento consumativo dell’illecito).
L’altra soglia, di natura composita, ha come paramento l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione (formula, questa, che traduce in termini maggiormente tecnici il riferimento della legge delega ai «componenti reddituali o ... volume di affari evasi»), fermo restando, ovviamente, che la sottrazione all’imposizione può realizzarsi, oltre che attraverso una sottoindicazione delle componenti attive, anche mediante un mendace incremento di quelle passive. Affinché il fatto sia punibile, detto ammontare deve risultare superiore al rapporto proporzionale del cinque per cento rispetto all’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (rapporto che segna un «limite di tolleranza» di scostamenti marginali rispetto a contribuenti con elevato imponibile), ovvero, e comunque, a lire tre miliardi.
Il delitto è punito con la medesima pena prevista dall’articolo 2, comma 1, per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Non è parso, infatti, di poter accogliere l’invito della Commissione giustizia
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