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A
fronte
di
ciò,
il
ricorrente
oppone
censure
che,
al
di
là
dei
richiami
alla
disciplina
generale
dell'istituto
utilizzato
per
porre
in
essere
la
sottrazione
fraudolenta
al
pagamento
di
imposte,
si
risolvono
nella
contestazione
dell'apparato
motivazionale
del
provvedimento
impugnato
mediante
la
prospettazione
di
una
personale
valutazione
degli
elementi
fattuali
valutati
dai
giudici
del
merito,
che
non
può
avere
ingresso
in
questa
sede
di
legittimità.
Si
tratta
poi,
in
sostanza,
di
una
ricostruzione
alternativa
della
vicenda
processuale
che
risulta
smentita
da
quanto
illustrato
dai
giudici
del
gravame,
i
quali,
come
si
è
detto,
hanno
puntualmente
spiegato
come
risultasse
del
tutto
indimostrata
la
dichiara
finalità
di
un
più
efficace
conseguimento
degli
obiettivi
propri
della
procedura
liquidatoria
attraverso
la
costituzione
del
trust,
stante
l'assenza
di
qualsivoglia
comunicazione
in
tal
senso
ai
creditori
e,
sopratutto,
l'assenza
di
comportamenti
concludenti,
ivi
compreso
il
pagamento
anche
parziale
delle
somme
dovute
all'erario.
5.
La
motivazione
della
sentenza
impugnata,
inoltre,
pone
in
evidenza
anche
la
sussistenza
del
dolo
specifico
richiesto
per
la
configurabilità
del
reato
oggetto
di
imputazione.
Esso
si
rinviene,
secondo
la
giurisprudenza
di
questa
Corte,
nella
volontà
dell'agente
di
sottrarsi
al
pagamento
delle
imposte
che
superino
la
soglia
prevista
e
richiede
la
dimostrazione
della
strumentalizzazione
della
causa
tipica
negoziale
o
l'abuso
dello
strumento
giuridico
utilizzato
(v.
Sez.
3,
n.
40561
del
4/4/2012,
Soldera,
Rv.
253400,
cit.).
La
sussistenza
dell'elemento
soggettivo,
pertanto,
ben
può
essere
rinvenuta
anche
quando,
come
nel
caso
in
esame,
a
fronte
della
piena
conoscenza
del
debito
tributario,
il
ricorso
ad
attività
formalmente
lecite
abbia
quale
unica
concreta
conseguenza
quella
di
impedire
la
riscossione
fiscale,
difettando
ogni
altro
dato
dimostrativo
della
effettiva
volontà
di
perseguire
le
finalità
proprie
dello
strumento
giuridico
cui
si
è
fatto
ricorso.
6.
Quanto
al
secondo
motivo
di
ricorso
deve
rilevarsi
che
i
giudici
dell'appello,
dando
atto
di
aver
preso
cognizione
della
documentazione
prodotta
dalla
difesa,
rilevano
come
la
dichiarata
sostanziale
equivalenza
tra
valore
commerciale
dei
beni
ipotecati
ed
importo
del
debito
verso
la
banca
non
risulti
dimostrata.
La
Corte
territoriale
evidenzia
anzi
come
una
simile
circostanza
si
ponga
in
contraddizione
rispetto
alle
finalità
di
tutela
dei
creditori
che,
secondo
il
ricorrente,
avrebbero
giustificato
il
ricorso
al
trust.
I
giudici
del
merito
hanno
quindi
fornito
risposta
alla
censura
difensiva
e
le
conclusioni
cui
sono
pervenuti,
costituendo
un
accertamento
in
fatto,
restano
estranee
al
presente
giudizio
di
legittimità.
7.
Parimenti
infondato
risulta
il
terzo
motivo
di
ricorso.
Nella
determinazione
del
trattamento
sanzionatorio,osserva
la
Corte
territoriale,
si
è
tenuto
conto,
nell'escludere
il
riconoscimento
delle
attenuanti
generiche,
di
un
precedente
per
bancarotta,
dell'assenza
di
attività
risarcitoria,
di
segnali
di
ravvedimento
e
di
altri
elementi
positivi
di
valutazione,
considerando
anche
l'importo
del
tributo
evaso.
Non
rileva,
con
riferimento
a
tale
ultimo
elemento,
l'intervenuta
assoluzione
in
altro
processo
concernente
quelli
che
vengono
indicati
come
«reati
presupposto»,
in
quanto
la
Corte
territoriale
ed
il
Tribunale
hanno
tenuto
conto
(peraltro
non
esclusivamente,
come
si
è
appena
visto),
ai
fini
della
quantificazione
della
pena,
dell'importo
del
tributo
evaso,
senza
alcun
riferimento
alle
condotte
oggetto
di
contestazione
nell'altro
procedimento.
Tale
importo,
peraltro,
è
quello
indicato
nel
capo
di
imputazione
e
che
risulta
sottratto
alla
procedura
di
riscossione
coattiva
mediante
la
costituzione
del
trust,
che
poteva
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