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d.lgs.,
ai
sensi
degli
artt.
25,
co.
2,
Cost.
e
2,
co.
2,
c.p.
Ulteriori
questioni
relative
all’inquadramento
dogmatico,
che
pure
hanno
interessato
la
fase
preparatoria
del
d.lgs.,
non
possono
trovare
ingresso
in
questa
sede.
3.2
La
ratio
della
causa
di
non
punibilità
e
la
“cautela”
del
legislatore.
La
costituzionalità
La
natura
e
la
“collocazione”
dell’istituto
svela
la
prima
(e
forse
la
principale)
preoccupazione
che
accompagna
l’introduzione
nel
nostro
ordinamento
della
“particolare
tenuità
del
fatto”:
evitare
che
si
possa,
anche
indirettamente,
considerare
la
causa
di
non
punibilità
una
forma
di
depenalizzazione
ovvero
un
istituto
diretto
a
realizzare
una
sostanziale
“discrezionalità”
nell’esercizio
(o
meno)
dell’azione
penale,
con
i
conseguenti
rischi
di
incostituzionalità
(a
partire
dalla
violazione
dell’art.
112
della
Costituzione).
Si
vedrà,
però,
che
la
non
punibilità
è
ancorata
a
precisi
(e
rigorosi)
presupposti
(limiti
edittali
e
specifici
criteri
d’individuazione
della
particolare
tenuità
del
fatto)
ed
è
applicata
all’esito
di
un
procedimento
interamente
giurisdizionalizzato
in
cui
è
assicurato
il
contraddittorio
con
l’indagato/imputato
e
la
persona
offesa.
La
“particolare
tenuità
del
fatto”
costituisce,
in
definitiva,
una
causa
di
non
punibilità,
analoga
a
quelle
già
presenti
nell’ordinamento,
in
cui
il
Giudice
assume
le
determinazioni
finali
all’esito
della
valutazione
della
ricorrenza
o
meno
dei
presupposti
e
all’esito
di
un
contraddittorio
garantito.
Appaiono,
dunque,
conciliate
le
esigenze
di
“delimitazione”
-‐
sostanziale
e
processuale
-‐
dell’istituto
con
la
opportunità
di
evitare
l’ulteriore
corso
dei
procedimenti
relativi
a
fatti
di
particolare
tenuità,
perciò
non
“funzionali”
a
una
razionale
tenuta
del
sistema
processuale.
Si
richiamano
i
“principi
generalissimi
di
proporzione
e
di
economia
processuale”10,
che
ben
si
collocano
nel
quadro
di
numerosi
principi
costituzionali
(a
partire
dalla
ragionevole
durata
del
processo,
assicurata
anche
dalla
necessità
di
evitare
la
celebrazione
di
processi
per
fatti
che
possono
definirsi
rapidamente),
ivi
compreso
quello
di
obbligatorietà
dell’azione
penale11.
Da
un
lato
si
delimita
l’area
della
punibilità,
escludendo
quei
“fatti
storici
che
ne
appaiano
immeritevoli”,
riservando
la
sanzione
ai
soli
casi
in
cui
è
assolutamente
necessaria
(cd.
principio
di
proporzione),
dall’altro
si
tenta
di
ridurre
il
“carico”
giudiziario,
fin
dalle
prime
fasi
(attraverso
l’archiviazione),
per
fatti
che
non
meritano
un
processo.
La
stessa
Corte
costituzionale
con
la
recente
sentenza
del
3
marzo
2015
n.
25
ha
“dato
il
via
libera”
al
nuovo
istituto.
Si
legge
nella
motivazione:
“Certo,
il
legislatore
ben
può
introdurre
una
causa
di
prosciogli-‐
mento
per
la
“particolare
tenuità
del
fatto”
strutturata
diversamente
e
senza
richiedere
tutte
le
condizioni
previste
dall’art.
34
del
d.lgs.
n.
274
del
2000,
ed
è
quello
che
ha
fatto
con
la
legge
28
aprile
2014,
n.
67
(Deleghe
al
Governo
in
materia
di
pene
detentive
non
carcerarie
e
di
riforma
del
sistema
10
In
tal
senso
Relazione.
11
Utili
elementi
si
possono
trarre
da
S.C.
sent.
n.
24249/06,
relativa
all’analogo
istituto
che
opera
innanzi
al
Giudice
di
pace:
“Del
resto
a
tale
soluzione
si
perviene
anche
basandosi
sul
principio
di
offensività,
la
cui
trattazione
approfondita
esula
dai
contenuti
propri
di
una
pronuncia
giurisdizionale,
in
quanto
con
riguardo
alla
sua
dimensione
nel
settore
legislativo
comporta
la
delimitazione
del
principio
di
ragionevolezza
e
di
razionalità
politico
-‐
criminale,
l'enucleazione
in
seno
al
dettato
dell'art.
3
Cost.
dei
contenuti
e
dei
limiti
dello
stesso
attraverso
la
verifica
dei
principi
di
proporzionalità,
di
offensività
e
di
determinatezza,
il
rapporto
con
il
c.d.
"tertium
comparationis"
ed
i
criteri
con
cui
effettuare
il
bilanciamento
dei
beni
con
tutte
le
discussioni
inerenti
alla
possibilità
o
meno
di
individuare
una
gerarchia
degli
stessi,
mentre
non
appare
essenziale
nell'ipotesi
normativa
in
esame”.
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