:: ORDINE
L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA A SANREMO DALLA REPUBBLICA ARISTOCRATICA ALLO STATO LIBERALE
di Elena Fiorani
IL QUADRO STORICO.
L'antico Castrum Sancti Romuli, che solo più tardi prenderà il nome di San Remo, è,
dalla fine del X secolo proprietà dei vescovi di Genova. La proprietà viene
trasferita nel 1297 ai signori genovesi Doria e De Mari; verrà acquistato dal
Comune genovese proprio dagli eredi dei precedenti compratori nel corso del
Trecento.
Il borgo è ricco di traffici con navi estere e, dal 1637, è esentato
dall'obbligo di fare scalo a Genova per i suoi commerci. La sua importanza è
sancita dalla creazione del commissariato di San Remo nel 1652.
Nel 1686 vengono
accresciute le prerogative del giusdicente patrizio che rappresenta la
Repubblica: la sua carica ha durata biennale e ha giurisdizione in materia di
sanità e di repressione del banditismo sulle comunità vicine. Gran parte delle
gabelle sono controllate dalla comunità, che comprende due frazioni importanti,
il Poggio e la Colla (oltre la piccola frazione di Verezzo). Anche il controllo
della milizia e dei castelli è locale, così come la gestione economica e
fiscale; il Consiglio, l'organo ristretto dei maggiorenti del luogo, gestisce
in particolare l'attività economica; al Parlamento spetta invece la riforma
degli statuti, su cui si regola la giustizia della comunità e, sulla quale il
commissario genovese ha un ruolo marginale, se si esclude il diritto di sangue
per le cause capitali.
Nel 1729 Genova e San Remo rivendicano i loro diritti: di sovranità da una parte e
di indipendenza dall'altra; l'insurrezione del 1753 si verificò nell'ambito
di una situazione di malcontento diffuso in tutto il dominio genovese,
alimentata dalla morsa fiscale imposta dal governo ai ceti meno abbienti per
sanare il dissesto dell'economia statale.
IL PERIODO DELLA REPUBBLICA ARISTOCRATICA
Ad un primo sguardo sulle condizioni della Repubblica di Genova alla fine del
Settecento, ciò che risalta in modo particolare è il suo assetto politico
amministrativo: di fronte alla capitale, in cui si concentrava la maggior parte
delle ricchezze e delle attività economiche della Repubblica e che era retta da
proprie magistrature comunali, stava un dominio disarticolato, un insieme di
comunità e di terre con amministrazione autonoma, annesse in epoche successive,
ciascuna legata all'autorità centrale da differenti vincoli e convenzioni e,
nei confronti delle quali Genova non si era costituita come centro naturale del
coordinamento e di equilibrio di una regione, anche a causa della configurazione
geografica e dell'estrema difficoltà delle comunicazioni terrestri.
L'arcaicità di questa struttura territoriale si rispecchiava negli ordinamenti di governo,
rimasti fondamentalmente immutati dal 1576, anzi peggiorati in senso
oligarchico, poiché i poteri reali si erano accentrati nei Collegi e nel Minor consiglio.
La degenerazione oligarchica era il risultato delle trasformazioni avvenute in seno
alla classe dirigente, con il concentrarsi della ricchezza nelle mani di pochi
ed il preoccupante aumento dei nobili poveri; fenomeni accompagnati da
una decadenza della nobiltà, da un disinteresse crescente da parte dei suoi
membri per le cariche pubbliche ed, infine, dalla crisi del concetto stesso di
aristocrazia, man mano che il potere reale, più che dall'appartenenza di
classe, veniva a dipendere dalle condizioni economiche e dall'egemonia su
determinati strumenti di governo.
A fianco dei collegi e dei consigli operavano, con attribuzioni confuse e
commistione di poteri, un gran numero di uffizi e magistrature finanziariamente
indipendenti gli uni dalle altre. La lunga esperienza di governo dei Magnifici e
la loro tradizionale abilità politica riuscivano ancora a conferire al sistema
un'apparenza di funzionalità, ma la struttura governativa genovese era
carente sotto diversi aspetti. L'amministrazione della giustizia costituiva
motivo di lamento per i popoli delle riviere, abbandonati all'arbitrio dei
giusdicenti locali, le popolazioni si distribuivano in centri costieri di
limitate risorse, ciascuno con attività commerciali, agricole ed artigianali
proprie, non collegate a quelle della dominante; ciascuno sottoposto all'egemonia
di un gruppo dirigente locale, per lo più di origine mercantile.
Gli squilibri e le difficoltà della società genovese, le sue possibilità di
rinnovamento e le proposte di riforma si comprendono meglio se si amplia la
visuale e si valuta il ruolo delle influenze internazionali, in modo particolare
quelle della Francia rivoluzionaria.
Sul piano politico diplomatico è da notare che gli ambienti governativi
genovesi, secondo un'antica tradizione di tolleranza per tutto ciò che non
toccava direttamente il loro potere, riuscirono a dare della Rivoluzione una
valutazione abbastanza serena, ma il progredire della violenza giacobina e la
paura per le possibili ripercussioni in Liguria dei fatti di Francia spinsero
via via il governo genovese ad assumere posizioni più rigide; tuttavia esso
riconobbe senza difficoltà i cambiamenti avvenuti in Francia con l'avvento
della monarchia costituzionale ed, allo scoppio della guerra, nel 1792,
dichiarò la propria neutralità.
All'inizio del 1796 le pressioni francesi si intensificarono e si accompagnarono agli
inviti ad uscire dalla neutralità, fino a che il 18 vendemmiaio dell'anno V
(9 ottobre 1796) il governo genovese stipulò con la Francia una convenzione che
determinò la fine della neutralità e lo schieramento a fianco dei francesi.
I Magnifici respingevano intanto un accordo con gli strati più ricchi della
borghesia, che, in cambio di una partecipazione al potere, avrebbero potuto
recare il contributo di nuove forze economiche ed ideologiche necessario per
superare senza scosse un momento difficile.
La fiducia che l'aristocrazia nutriva nella propria capacità di controllare la
situazione interna del paese era giustificata, perché il governo conosceva la
scarsa incisività dei gruppi rivoluzionari e non li temeva affatto.. i
Magnifici non si rendevano però conto del fatto che, sull'onda dei successi
francesi in Italia ed in seguito alla nebulosa politica del governo genovese, ci
si doveva confrontare con un movimento di opinione che cresceva quotidianamente
e che non doveva essere sottovalutato, anche perché parallelamente al crescere
di questa opposizione, si stava diffondendo a Genova la sfiducia nel governo.
Mentre qualcuno caldeggiava un accordo con Bonaparte per evitare un'insurrezione a
Genova, quest'ultimo espresse il convincimento che sarebbe stato opportuno che
la Liguria mantenesse la propria indipendenza, ma che La Spezia dovesse essere
ceduta alla Cispadana. Inevitabilmente scoppiò a Genova un moto insurrezionale.
Il 29 maggio 1797 l'aiutante di campo Lavallette lesse in Senato un duro
ultimatum di Bonaparte che, prendendo come pretesto l'uccisione di alcuni
cittadini francesi durante i tumulti e l'incarcerazione di altri, intimava al
governo genovese il rilascio dei prigionieri, l'arresto degli inquisitori e la
riforma della costituzione.
Il 5 giugno 1797 la Convenzione di Mombello firmata da rappresentanti genovesi e
dallo stesso Bonaparte sancì la caduta definitiva dell'oligarchia. La
Convenzione prevedeva il riconoscimento della sovranità popolare, l'uguaglianza
giuridica di tutti i cittadini della Repubblica, l'abolizione di ogni
privilegio; la creazione di due consigli rappresentativi e di un Senato di
dodici membri, presieduto da un doge, titolare del potere esecutivo; la
formazione di un governo provvisorio di ventidue membri; la nomina di una
commissione legislativa incaricata di compilare la costituzione. La Francia
assicurava alla Repubblica la propria protezione.
La costituzione, emanata il 2 dicembre 1797, stabiliva la divisione del territorio
ligure in Giurisdizioni, Cantoni e Comuni; il Corpo legislativo era diviso in
due Consigli, uno di trenta membri denominato de' Signori, l'altro di
sessanta membri denominato de' Sessanta, entrambi rinnovabili ogni anno
in misura di un terzo; il potere esecutivo era delegato ad un Direttorio
composto da cinque membri eletti a scrutinio segreto dal Corpo legislativo; l'amministrazione
della giustizia per tutto il territorio ligure era gratuita, in ogni Cantone era
istituito un Giudice di pace, in ogni Giurisdizione un Tribunale civile e
criminale composto da tre membri; la legge determinava i luoghi in cui dovevano
essere istituiti i tribunali di commercio.
DALLA REPUBBLICA DEMOCRATICA AL PERIODO FRANCESE
Il 6 aprile 1794 una parte dell'Armée d'Italie varcava il confine di Ventimiglia,
la comandava il generale Masséna, originario di Nizza, l'artiglieria
dipendeva dal comandante Napoleone Bonaparte. Le azioni della campagna militare
investirono l'intero territorio dell'attuale provincia di Imperia e
portarono all'occupazione di Oneglia e Loano e al controllo del valico del
colle di Tenda.
Nel maggio 1797 gli ideali della Rivoluzione francese raggiungevano Genova e nasceva
la Repubblica ligure che, travolta l'antica Repubblica aristocratica, si
ispirò ai principi giacobini dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge e della libertà, cioè al diritto di essere governati secondo una
costituzione scritta. Il governo provvisorio della Repubblica ligure si sforzava
di mantenere l'ordine, prendeva provvedimenti atti a garantire "la
conservazione delle proprietà private".
Si costituirono quattro comitati (di polizia, militare, delle finanze, delle
relazioni estere) composti da tre membri e rinnovabili ogni settimana; furono
confermate provvisoriamente tutte le leggi compatibili con la convenzione di
Mombello.
Dopo un periodo di iniziale entusiasmo, la Repubblica aveva mancato in rapida
successione tutti i propri obiettivi, ben presto era apparsa evidente l'impossibilità
di realizzare alcunché di positivo e si era verificato un progressivo
sgretolamento degli apparati politici e amministrativi, mantenuti in vita solo
dalla volontà della Francia e dalla presenza dei suoi reparti militari in
Liguria; così, quando il 7 dicembre 1797, le istituzioni democratiche della
Repubblica vennero formalmente soppresse, nessuno le rimpianse.
Il 23 giugno 1800 Bonaparte istituì una Commissione straordinaria di governo
composta da sette membri con pieni poteri esecutivi e autorizzata in particolare
a imporre nuove imposte; fu inoltre istituita una Consulta legislativa composta
da trenta membri incaricata di riorganizzare lo Stato; infine, fu nominato un
ministro straordinario del governo francese a Genova nella persona del generale
Jean François Dejan, che aveva il compito di vegliare sugli interessi della
Repubblica.
La legge organica della divisione del territorio della Repubblica ligure del 17
gennaio 1803 n.36 stabiliva la divisione del territorio in 6 Giurisdizioni e 4
Cantoni; San Remo era Capo del decimo Cantone, denominato Delle Palme, ospitava
quindi un Giudice di Cantone (o di prima istanza) e faceva parte della sesta
Giurisdizione denominata Degli Ulivi, con capoluogo Oneglia, in cui risiedevano
il Provveditore, la Giunta amministrativa e il Tribunale civile e criminale.
L'indipendenza e l'autonomia della Repubblica erano state messe in discussione a partire dal
1800; la decisione circa la fine della seconda Repubblica ligure fu presa dallo
stesso Napoleone, sulla base di considerazioni prettamente preliminari nelle
quali il problema dell'armamento marittimo era centrale.
Nel marzo - aprile 1805, quando giunse a Genova la notizia che la Repubblica
avrebbe fatto parte del Regno d'Italia e che Napoleone ne avrebbe cinto la
corona, ci fu una vera e propria manifestazione di entusiasmo.
Per quanto riguarda San Remo, il 13 luglio 1797, la nuova municipalità si rivolgeva
ai cittadini con l'invito a partecipare alla grande festa che celebrava la
nuova costituzione del popolo ligure, in seguito alla quale la città veniva
elevata a capoluogo del Distretto delle Palme e, l'anno successivo, a
capoluogo di provincia della Giurisdizione delle Palme, con tribunale civile e
criminale, cui erano sottoposti i nove cantoni di Ventimiglia, Triora, Taggia,
Badalucco, Ceriana, Castelfranco, Colla, Bordighera e Penna, oltre a San Remo;
nello stesso periodo venivano eletti "seniori" del dipartimento Gio
Francesco Bestoso e l'avvocato Agostino Novaro e "giuniori" Prospero
Lombardi, Sebastiano Biamonti e Nicolò Ardizzoni. Dopo lo smembramento della
diocesi di Ventimiglia, nel 1802 veniva creata la giurisdizione degli Ulivi con
capoluogo Oneglia. Nel 1805 la Liguria veniva annessa all'Impero francese,
amministrativamente suddivisa nel Dipartimento di Montenotte a Levante, con
capoluogo Savona, esteso all'ambito padano dell'Acquese e del Cebano, e nel
Dipartimento delle Alpi Marittime a Ponente, con capoluogo Nizza. San Remo
divenne secondo centro dipartimentale e sede di Sottoprefettura.
A guida dei due dipartimenti furono collocate importanti figure di Prefetti, tra
questi è da ricordare il Barone Chabrol de Volvic per Montenotte, impegnato in
una ricerca conoscitiva e statistica dei caratteri del suo territorio, nella
quale si ravvisa tutto lo sforzo organizzativo della burocrazia imperiale, e il
Barone Marc - Joseph de Gratet Dubouchage che, presente a Nizza, avviò
iniziative simili.
San Remo si presentava come una città difficile per molti aspetti: era pur sempre
"capitale" da più di un secolo dei domini rivieraschi del capoluogo
ligure; periferica rispetto a Nizza, ma popolosa, contava circa diecimila
abitanti, fra cui emergeva un ceto di possidenti, esponenti i Borea d'Olmo e i
Roverizio.
Nella fase di redazione del nuovo documento catastale (1810 - 1812), San Remo è
capoluogo di circondario (arrondissement) e di cantone (canton) e conta due
frazioni principali e dipendenti: Poggio e Verezzo.
Prese le redini di questo centro amministrativo il signor Chassepot de Chapilan in
qualità di Sotto - Prefetto, si nominò a presidente del tribunale di
circondario il signor Ruj i Imbert Laforet e fu elevato alla carica di Maire e
presidente del consiglio di circondario il signor Tommaso Gio Batta Borea d'Olmo
affiancato da due aggiunti, inizialmente Carlo Laura e Luigi Arnaud, che, nel
1813 fu sostituito dal signor Luigi Maria Stella. Fin dal 1805 agli
amministratori locali si aggiunse una delegazione di magistrati francesi, tutti
impegnati nel nuovo tribunale.
In questo contesto spiccò il potere del Borea che mantenne ininterrottamente la
carica di Maire; nel luglio del 1805 prestò omaggio a Napoleone a Genova per
conto della Municipalità, negli anni successivi divenne un affidabile
rappresentante del potere imperiale, tanto che nel 1813 venne nominato Barone
con titolo trasmissibile per ordine di primogenitura maschile alla discendenza
diretta, legittima, naturale od adottiva; il Bulletin des lois del 1813 riporta
l'assegnazione ufficiale del titolo:
"Thomas - Jean - Baptiste Borea d'Olmo, maire de San Remo, département des Alpes
- Marittimes, et portant, en sa faveur, collation du titre de Baron, avec
établissement du majorat de ce titre sur une grande maison appellée le palais
Borea, sise à San Remo, un jardin de la Cerva, d'environ cinq ares de
superficie, et d'un autre jardin voisin avec terrasse, entouré de murs, cette
dernière portion de quatorze ares environ: de tout produisant cinq mille vingt
- cinq francs.
Il decreto di Napoleone Bonaparte che ordinava lo spostamento del tribunale di
prima istanza da Monaco a San Remo risale all'undici novembre 1805:
Décret Impérial (n. 1115) qui ordonne la translation à San Remo du siège du tribunal
de première instance établi à Monaco:
"1/11/1805
Napoléon, Empereur des Français, Roi d'Italie;
Sur le rapport de notre grand - juge ministre de la justice, avons décreté ce
qui suit:
ART.I
Le siége du tribunal de prmière instance, établi dans la ville de Monaco par
la loi du 27 ventose an VIII (27/03/1800), sera transféré à San Remo.
Il
aura pour ressort l'arrondissement fixé par l'article 3 de notre décret du
15 messidor dernier (15/06/1805).
ART.II
Les membres actuels de ce tribunal, ainsi que les officiers ministériels qui y
sont attachés, rempliront au tribunal de San Remo les memes fonctions qu'ils
remplissent actuallement au tribunal de Monaco.
ART.III
Notre grand - juge ministre de la justice est chargé de l'exécution du
présent décret, qui sera inséré au Bulletin des lois".
La riorganizzazione della giustizia, intrapresa dalla legge del 27 ventoso dell'anno
VIII, costituisce, con il nuovo ordine amministrativo, la costruzione più
duratura del sistema consolare e imperiale. I giuristi delegati da Napoleone
operano un fine compromesso e un abile adattamento delle strutture ereditate
dall'antico regime e dalla Rivoluzione. E' nell'ambito del contenzioso
amministrativo e delle sue giurisdizioni specifiche che si nota il retaggio
delle istituzioni dell'antico regime. La giustizia di pace scaturisce dalla
filosofia rivoluzionaria di una struttura di conciliazione vicina al cittadino,
per cui ogni cantone possiede una giustizia di pace (42 nel dipartimento della
Stura, 32 a Montenotte e 27 nelle Alpi Marittime).
I tribunali di prima istanza, istituiti nei circondari, sono l'elemento
essenziale della riforma; ognuno di essi è dotato di un commissario del governo
facente funzione di pubblico ministero che, nel 1804, assume il titolo di
procuratore. Questi tribunali giudicano gli affari civili e, in appello, le
cause provenienti dai giudici di pace. In materia penale, la loro competenza è
poco a poco ridotta con l'attribuzione ai tribunali correzionali dei reati di
minor rilievo. Ogni dipartimento ha un tribunale criminale, divenuto corte di
giustizia criminale nel 1804 e poi corte d'assise nel 1810, con una giuria di
dodici cittadini, membri dei collegi elettorali in quanto appartenenti al
notabilato del censo. La Stura dispone anche di una corte di giustizia
criminale. Per il dipartimento di Montenotte gli affari penali sono giudicati da
una corte speciale straordinaria con sede a Genova.
Le riforme attuate dal 1808 al 1811, adottate dopo la pubblicazione del codice di
procedura penale, mirano a centralizzare il sistema giudiziario repressivo e a
rafforzare l'aspetto arbitrario con l'introduzione del segreto dell'istruttoria.
DALL'ETA' DELLA RESTAURAZIONE ALLE RIFORME DELLO STATO LIBERALE
Con la caduta di Napoleone vennero ristabiliti i vecchi governi e a Genova venne
ripristinata la Repubblica, che ebbe vita per pochi mesi, poiché il Congresso
di Vienna decise di unire la Liguria al Regno Sabaudo di Sardegna con il titolo
di Ducato di Genova; durante il breve periodo del governo provvisorio della
Repubblica di Genova vennero ripristinate gran parte delle norme che sotto il
governo francese furono abrogate.
Con l'editto del 21 maggio 1814 Vittorio Emanuele I abrogò le leggi del periodo
francese e ripristinò le norme dell'ancien régime, in particolare le Regie
Costituzioni del 1770, ma in Liguria e quindi anche a San Remo rimasero in
vigore i codici napoleonici. La determinazione della giurisdizione del Senato di
Nizza e le regole pratiche di funzionamento dei tribunali furono oggetto dell'editto
del 19 aprile 1816; questi tribunali erano le prefetture di Nizza e Sospello e
il consiglio di giustizia di Oneglia, sottoposti a loro vi erano i giudici di
mandamento assegnati ai diversi cantoni. Erano necessari alcuni miglioramenti: l'editto
del 27 settembre 1822 regolava la composizione e la competenza dei tribunali di
prefettura e sopprimeva i diritti detti "sportules", che affidavano la
retribuzione dei magistrati e dei pubblici ufficiali ai privati, per
rimpiazzarli con la retribuzione statale; l'editto istituiva, nella competenza
del Senato di Nizza, tre tribunali di prefettura: Nizza, Oneglia e San Remo,
quello di Sospello fu soppresso e riunito a Nizza. Nel 1818, il re promulgò un
editto con il quale ordinava il definitivo stabilimento delle province
dipendenti dal senato di Nizza e la distribuzione delle stesse in mandamenti di
giudicature, sottoposti rispettivamente alle prefetture di Nizza e di Sospello
ed al consiglio di giustizia di Oneglia. Il Giudice di mandamento di San Remo
era sottoposto al consiglio di giustizia di Oneglia.
Con il Regio Editto del 27 settembre 1822, il re riformò l'ordine giudiziario
istituendo in ciascuna provincia un tribunale di Prefettura; i tribunali di
Prefettura erano divisi in quattro classi ed erano competenti in primo grado per
tutte le cause civili della provincia di appartenenza non attribuite ad altre
giurisdizioni; le loro sentenze erano inappellabili, salvo le cause eccedenti le
1.200 lire.
San Remo fu costituita capoluogo di provincia e, perciò, sede di un tribunale di
prefettura di quarta classe, che trovava la sua nuova sede in piazza G.D.
Cassini, e di un reggimento di fanteria.
Le riforme di Carlo Alberto migliorarono la situazione.
Le patenti del 4 marzo 1848, considerando che nello Statuto fondamentale del Regno di Sardegna
la prima delle due Camere legislative era denominata Senato, statuirono che in avvenire
le corti di giustizia conosciute con questo nome sarebbero state designate con
il titolo di Magistrature d'appello e i loro membri sotto quello di
consiglieri, mentre i tribunali di Prefettura sarebbero stati denominati
Tribunali di Prima cognizione e il loro capo, il Prefetto, avrebbe cambiato la
sua qualifica in Presidente di Prima cognizione; i membri dei medesimi tribunali
sarebbero stati denominati Giudici di Prima cognizione in luogo di Assessori.
La legge 13 novembre 1859 n. 3781 sull'ordinamento giudiziario stabilì che San
Remo diventasse sede di un tribunale civile e correzionale e di un tribunale di
commercio e che si sottomettesse alla Corte d'Appello di Nizza, i mandamenti
sottoposti alla cittadina sanremese erano: Bordighera, Ceriana, Dolceacqua,
Santo Stefano, Taggia, Triora e Ventimiglia. Al fine di assicurare l'uniformità
della giurisprudenza, il Regio editto del 30 ottobre 1874 creò una Corte di
cassazione con sede a Torino.
Alla vigilia della firma del trattato del 24 marzo 1860 concernente l'annessione
alla Francia della Savoia e dei circondario di Nizza, il governo imperiale
francese decise di inviare in ciascuna delle due province un alto rappresentante
in missione non ufficiale, ma comunque investito della fiducia personale del
sovrano e accreditato, per questo, a lavorare con le autorità locali per
preparare la consultazione popolare e studiare le diverse questioni nate proprio
dal passaggio dal regime sardo a quello francese. La missione fu assegnata a due
senatori, vale a dire a membri della più importante delle assemblee istituite
dalla costituzione del 1852, Armand Laity per la Savoia e Pierre - Marie
Piétri per Nizza. Arrivato a Nizza, Piétri, prese contatti con i
rappresentanti qualificati dei diversi gruppi e si sforzò di informare al
meglio Parigi di tutti i problemi provocati dall'annessione.
Al momento della firma del trattato, la provincia di Nizza era dotata di una Corte
d'appello alla quale erano subordinati i tribunali di Nizza, Oneglia e San
Remo situati in ciascuno dei circondari. La Corte d'appello comprendeva due
Camere o sezioni composte da un primo presidente, un presidente e da dodici
consiglieri; la difesa degli indigenti era assicurata da un avvocato assistito
da tre sostituti e da un procuratore assistito da due sostituti, istituzioni
risalenti all'ancien régime; ai magistrati bisogna aggiungere il personale di
segreteria, un segretario per ogni ufficio e tre uscieri.
L'annessione alla Francia del circondario di Nizza ebbe l'effetto di togliere alla Corte d'appello
una parte della giurisdizione, infatti, i tribunali di Oneglia e San Remo
passarono sotto la giurisdizione della Corte d'appello di Genova. La legge del
20 marzo 1865 n. 2248 sull'unificazione amministrativa del Regno d'Italia
attuò la ripartizione del territorio in province, circondari, mandamenti e
comuni, mentre il Regio decreto sull'ordinamento giudiziario del 6 dicembre
1865 n. 2626 stabilì come e da quali organi doveva essere amministrata la
giustizia; come già precisato, San Remo era sede di un tribunale costituito da
due sezioni, civile e correzionale, apparteneva alla provincia di Porto
Maurizio, dipendeva dalla Corte d'appello di Genova e, in ultima istanza,
dalla Corte di cassazione di Torino, ed era composto nel modo seguente: un Presidente,
due Vice - Presidenti, tre giudici, un Procuratore del Re, un Sostituto
Procuratore del Re, un cancelliere, un vice - cancelliere, un vice -
cancelliere aggiunto e un segretario; vi era inoltre il tribunale di commercio,
la cui composizione era differente, i suoi membri erano commercianti, quindi
giudici non togati.
I tribunali civili e correzionali come quello di San Remo giudicavano in materia
civile in prima istanza ed in appello su tutte le cause loro deferite dalla
legge, giudicavano in materia penale in prima istanza ed in appello dei reati
loro deferiti dalla legge, esercitavano tutte le altre attribuzioni assegnate
loro dalla legge.
I giudici che si avvicendarono sulla scena sanremese dal periodo dell'unità del
Paese fino ai primi anni del Novecento furono Antonio Peretti, Agostino Fenoglio,
Giuseppe Fortunato Bertolina, Pier Luigi Caire, Pietro Pertini, Marco Tullio
Pisani, Giuseppe Orengo; la magistratura faceva uso di due distinte divise: una
con la toga per le pubbliche sedute e udienze, l'altra con abito a spada per
presentarsi individualmente in forma ufficiale e solenne.