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Tortura e pena di morte, banditi dall'attuale ordinamento, non erano ignote alla Sanremo del passato. Qui si ripropone un passo tratto da "Sanremo 500 secoli" in cui Giovanni Ferrari ricorda gli strumenti di tortura cui ricorreva l'Inquisitore di giustizia nel XVII secolo, accennando anche alle modalità di esecuzione della pena capitale in quell'epoca.

TORTURA E PENA DI MORTE A SANREMO NEL XVII SECOLO.

I. La tortura "principiava coi tratti di corda, continuava con la sferza e si concludeva con lo stivaletto, quando non totalizzava per sempre il dare e l'avere con l'impiccagione previo squartamento in vista a tutti. Fra parentesi, la tortura della sferza era pure riservata alle mogli indegne e alle donnine di facili costumi e veniva impartita dal carnefice in prima persona sul dorso nudo del paziente o della paziente legati solidalmente ad un tronco di colonna che si può vedere ancor oggi a metà di via Montà. Torture insopportabili venivano applicate in casi particolarmente gravi, ed eran quelle della fune e della sveglia, le quali producevano gravi lacerazioni nelle carni, e dell'attanagliamento e del cavalletto.
Quella terribile e indescrivibile per pudore, detta del Miserere, era riservata per i casi di stupro od omicidio premeditato".
II. Quanto alla pena di morte, questa avveniva per impiccagione "per la gola sulla piazza del patibolo alla Chiusa di Pian di Nave, previo taglio della mano destra (...) da praticarsi subito come acconto sul totale prefissato dalle leggi". La testa dell'impiccato era "poscia spiccata dal busto ed esposta sull'apposita mensola che ognuno può ancora scorgere spuntare dal muro di fianco all'entrata dell'aula capitolare".